Una Lazio stellare rimonta l'Inter e tallona la Juventus, marciante vittoriosa su spoglie bresciane: tre squadre, tre mentalità, una sola vetta
MONREALE, 17 febbraio – C'era una frase, bella a pensarci. Iconica se non altro. Per i lettori più giovani, lussuriosi cultori delle moderne serie tv, basterà il solo accenno a disvelarne la fonte. Immaginate una partita di calcio del mondiale: Brasile - Camerun. Chi vorreste che vincesse? Camerun, certamente. Istintivamente l'essere umano prende sempre le parte dei più deboli, dei perdenti. Tutti quanti - in fondo - vogliamo essere il Camerun (La Casa di Carta, ndr).
A 14 giornate dalla fine del campionato - a mani basse uno dei più belli se non il più bello dell'ultimo decennio - i biancocelesti della capitale pugnalano l'Inter, mentre una Juve (un po' amletica) prova a ritrovare sé stessa dopo la vittoria casalinga sul Brescia. Amletica, sì. Perché, in fondo, non è che negli ultimi tempi i campioni d'Italia abbiano proprio convinto sul piano del gioco, diciamolo. Anzi, tutt'altro: la rovinosa quanto bruciante sconfitta col Verona, il pareggio nella sfida infrasettimanale di Coppa Italia contro un Milan tutto a trazione Ibra. E poi le voci - un po' di corridoio, un po' di spogliatoio - del possibile ripensamento su Sarri e sui suoi pitagorici schemi che tanto avevano affascinato all'alba della nuova stagione. Infine, notizia delle ultime ore, la suggestione (fortissima) che vedrebbe già Pep Guardiola in giacca e cravatta dopo la bastonata subita dai citiziens, costretti ai box forzati, fuori dalla Champions per ben due anni. Una Juve apatica, spenta, capace di riaccendersi solo grazie a una pennellata del suo infaticabile tuttocampista di ruolo (mounsieur Paulo Dybala, visto che quel Ronaldo dell'Ariston s'è preso la giornata libera). Una Juventus che tuttavia getta quantomeno il teschio a bordocampo e, tra l'essere e il non essere, sceglie d'essere la dominatrice di questi ultimi otto anni, asfaltando il Brescia 2-0 e allungando sulle contendenti.
Lo spettacolo, quello vero, quello per cui il sangue - non importa di quale colore - prende a bollire nelle vene, quello che tutti desiderano ma che alla fine nessuno s'aspetta, arriva solo alle 20.45 della Domenica. E' stata molte cose, quella partita. Lotta, sempre e comunque. Guerra in ogni sua declinazione e sotto il vessillo di diversi obiettivi. Ma mai, mai si era pensato che il 16 gennaio del 2020 Lazio - Inter potesse rappresentare, nel libro della storia del calcio, anche una sfida in chiave scudetto. Gli uomini d'Inzaghi - forse non lo sanno - ma vivono nel sogno. Un sogno lungo diciotto giornate di fila (da diciotto giornate la Lazio consegue sempre risultati utili!) che non accenna affatto a spezzarsi. I nerazzurri, reduci dalla sconfitta contro il revitalizzato Napoli di Gattuso in Coppa, giocano tutto tranne che una brutta partita: a fine primo tempo Young, sulla respinta non perfetta di Strakosha, si ricorda di esser stato ala d'attacco in quel di Manchester e non perdona i biancocelesti. L'ascia di guerra però è appena stata conficcata, perché il solito Immobile (sempre più da Scarpa d'Oro) e un monumentale Milincovic Savic completano la rimonta nel secondo tempo, scoppiando in lacrime al triplice fischio di Rocchi. Simone Inzaghi, quel ragazzo vissuto sempre all'ombra del proprio fratello, si fionda in campo e allarga le braccia. Dentro a quell'abbraccio accorrono tutti: giocatori, staff, pubblico, gli dèi nascosti tra le mura dell'Olimpico, risuonante - come in un'immensa e titanica cassa di risonanza - di una sola voce. Sul prato verde vola. Tu non sarai mai sola. Vola un'aquila nel cielo.
Tre squadre. Tre filosofie. Tre storie diverse. Tre punti a dividerle nella scalata alla vetta. L'Inter di Conte, disciplinata, militare, virtuosa nel suo vigore fisico e mentale. La Juventus di Sarri, capitalistica, ambigua e sbilanciata tra estetismo e pragmatismo, tra risultati e bellezza, tra sogni europei e conferme nazionali. E poi il Camerun... pardon! La Lazio di Inzaghi, grinta, cuore, irrazionalità, spinta, tecnica. Libera, nella sua mente, da altre distrazioni e da altri impegni stagionali se non quello del Campionato. Seconda, a un solo punto dai bianconeri e con i nerazzurri di Milano pronti a riagguantare ciò che nella logica militare non può essere sprecata: l'opportunità, i centimetri su un campo di battaglia improvvisamente fin troppo affollato. Il tempo stringe, il calendario scorre. Che il potente spettacolo continui.