Kobe Bryant (41 anni), leggenda dell'NBA, perde la vita in un terribile incidente aereo: insieme a lui la piccola figlia Gianna e altre sei persone
MONREALE, 27 gennaio – Ore 14.30. Calabasas, Los Angeles. La piccola Gianna ha già caricato tutto sull'elicottero. E' concentratissima perché più tardi si gioca e il suo papà gliel'ha già detto mille volte di pensare solo al campo, al canestro, ai secondi. Secondi. Cosa sono i secondi se non atomi d'eternità che frammentano la vita, scandendola? Ore 14.30. Succede tutto in fretta, come un break sul suono della sirena. Come un canestro all'ultimo tiro. Come una preghiera prima di addormentarsi. Il velivolo precipita. Fumo. Fiamme. Lacrime. È la città degli angeli. E il suo angelo migliore ha appena spiegato le ali.
Leggenda. Monumento. Basti questo a chi non ha mai conosciuto Kobe. Provate a immaginare un Pelé. Un Maradona. Un Messi o un Ronaldo. Black Mamba - come avevano imparato a conoscerlo ai Lakers – apparteneva a quella cerchia ristretta di superuomini che nascono solo ogni 70 anni. Un profeta del cesto che, raccogliendo l'eredità di un dio come Micheal Jordan, aveva professato il Verbo della Bellezza, spendendo sudore, anima e corpo. E lo fece con la sola consapevolezza che, un giorno, il suo nome non si sarebbe sciolto come neve al sole. Italiano (quasi) adottivo, aveva trascorso buona parte della sua giovinezza nel Bel Paese. Per seguire le orme di Joe – suo padre – che con la canotta del Pistoia, Rieti, Reggio Calabria e Reggio Emilia aveva schiantato ogni primato. Ma per il piccolo Kobe il mondo aveva solo due colori: il giallo e il viola. Il suo mito si costruisce proprio a Los Angeles, con la maglia dei Lakers. E con quella casacca – dopo il ritiro nel 2016 resa sacra e inviolabile reliquia – vinse tutto: 5 volte sul tetto d'America, 2 volte su quello del mondo con i due ori alle Olimpiadi. Record di punti segnati in una sola stagione (2832), record di punti segnati in un match (81), miglior realizzatore in tutta quanta la storia di Lakers.
E Kobe aveva sorriso quando, sabato sera, era venuto a conoscenza del fatto che Lebron James (ironia della sorte, proprio con i suoi Lakers) l'aveva appena superato al terzo posto nella classifica dei migliori marcatori di tutti i tempi in NBA. Poi domenica mattina aveva preso quel maledetto elicottero. E insieme a lui la piccola Gianna, a soli 13 anni già promessa della pallacanestro, e – stando alle ultime ricostruzioni dei media americani – altre sei persone. Da lì, dal cielo, non scenderà più. Del resto lui a volare c'era abituato. L'aveva sempre fatto, quando si lanciava a canestro, gli occhi spalancati e il cuore pulsante prima di adagiare la palla nel cesto. Il mondo si fermava. Il tempo si dilatava, contro la fisica e la stupida matematica. Poi il frastuono, il dito alto al cielo, l'occhiolino alla telecamera. Perché Kobe era questo: un potente spettacolo vivente. A tutti gli appassionati di sport, a coloro che lo vivono, lo sentono, lo criticano e lo amano, bastino queste parole – pronunciate da Kobe nel suo ultimo discorso prima dell'addio al campo – per salutare un uomo che più di tutti credette nella potenza dei sogni. A un uomo che, divenuto leggenda, insegnò l'umiltà. Perché umilmente, alla fine di tutto, si sussurrasse il suo nome.
“Caro basket, dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzettoni di mio padre e a lanciare immaginari tiri della vittoria nel Great Western Forum, ho capito realmente una sola cosa: mi ero innamorato di te. Un amore così profondo che ho dato tutto per te. Dalla mia mente al mio corpo, dal mio spirito alla mia anima. Da bambino di sei anni, profondamente innamorato di te, non ho mai visto la fine del tunnel. Vedevo solo me stesso correre fuori da uno. E quindi ho corso, ho corso su e giù per ogni parquet dietro ad ogni palla persa, per te. Hai chiesto il mio impegno, ti ho dato il mio cuore perché c'era tanto altro dietro. Ho giocato nonostante il sudore e il dolore, non per vincere una sfida. Ma perché tu mi avevi chiamato. […] Hai fatto vivere a un bambino di 6 anni il suo sogno di essere un Laker e per questo ti amerò per sempre. Ci siamo dati entrambi tutto quello che avevamo. E sappiamo entrambi, indipendentemente da cosa farò, che rimarrò per sempre quel bambino con i calzoni arrotolati. Un bidone nella spazzatura nell'angolo. Cinque secondi da giocare. Palla tra le mie mani. 5.. 4.. 3.. 2.. 1.. Ti amerò per sempre – Kobe”