Immobile di nome, ma non di fatto

Ciro sogna e fa sognare: la Lazio infila l'11esima vittoria di fila e si iscrive alla lotta scudetto, lui aggancia in testa Lewandoski per la Scarpa d'Oro

MONREALE, 20 gennaio – Un fischio lontano. Il biglietto in mano già timbrato. In arrivo il solito treno in direzione Sorrento. Lo zaino di scuola è sulle spalle. Pesante sì, ma non di libri: dentro ci sono scarpini, completino, un cambio pulito e profumato. E magari anche un po' di parmigiana perché comm' a fa mammà nna fa nisciuno. Non ha mai saltato una lezione (di calcio). Anzi il presidente gli aveva anche regalato l'abbonamento ferroviario. Perché quel ragazzino era davvero, davvero forte. Quel gracile scugnizzo dal caschetto biondo – che ogni giorno da Torre Annunziata raggiungeva Sorrento e lì galoppava libero su verdi prati, sognando il frastuono intorno a sé e il sudore che incolla la maglia alla pelle – oggi ha finalmente imparato a brillare di luce propria, tra le stelle del calcio europeo. Lui che su di un treno c'è nato. Lui che, i treni importanti, non se li è mai lasciati scappare.

Seconda giovinezza. Come negarlo? In fondo, è anche e soprattutto merito suo se le aquile biancocelesti della Capitale sono riuscite nuovamente – dopo tempo immemore – a dispiegare ampie le proprie ali. Il 50% delle undici vittorie consecutive della Lazio guidata da Simone Inzaghi sono arrivate dai piedi fatati di quello stesso ragazzo che il Torino – al culmine ormai di quell'aurea aetas che erano stati gli anni precedenti – durante la torrida estate del 2014, cedette definitivamente alle api di Dortmund. Quello stesso ragazzo che, dopo solo un anno in malaccetti panni tedeschi, dovette sottostare – per bene suo e della sua carriera in abiti tricolori - a quel maledetto e rinnegato trasferimento in Spagna, alla corte di Siviglia. Luci e ombre. Chiaroscuri offuscati e fumosi che tuttavia Ciro ha sempre affrontato con la stessa identica consapevolezza di quel piccolo sognatore che, appartato al proprio posto accanto al finestrino, nell'ormai suo solitario vagone, nonostante tutti gli ostacoli, amava alla follia ciò che faceva. E avrebbe perseverato. Fino al giorno della tanto agognata ribalta. Perché sapeva che quel treno sarebbe arrivato prima o poi. E quando finalmente ne udì il fischio, lo riconobbe subito. Alzò gli occhi e non ci pensò due volte.

E' la mattina del 27 luglio 2016. E' il giorno in cui sul sito ufficiale della Lazio si legge inequivocabile Benvenuto Ciro! E' il primo appassionante atto di quella bellissima storia – fidatevi - ancora tutta da scrivere. Novanta gol in maglia biancazzurra, due Supercoppe e una Coppa Italia, incoronato capocannoniere nella stessa stagione per ben due volte in due diverse competizioni (Serie A ed Europa League) e già con un bottino di 23 reti alla diciannovesima giornata del campionato di massima serie italiana. Altro? Ah, sì. Pari merito nella classifica della Scarpa d'Oro con un certo Robert Lewandoski e dietro nella classifica di marcature multiple (ossia due o più reti siglate a match) solo a – rullo di tamburi - un alieno argentino come Lionel Messi. Numeri da far tremar le vene e i polsi. Dati, analisi, registri che appassionano tutti. Tutti, tranne lui. “Il record di Higuain di 36 reti in una stagione? Meglio restare con i piedi per terra” ha detto ai microfoni di SkySport – ironia della sorte – giusto dopo la tripletta che come una sentanza ha schiantato la Samp di mister Ranieri, regalando ai tifosi altre lacrime di gioia da asciugare, stupende per chi il calcio non si limita semplicemente ad osservarlo.

Con il suo fenomeno in maglia numero 17 la Lazio si innalza di diritto sugli altri club come una delle possibili concorrenti al titolo di prima squadra in Italia. Strano e soprendentemente stupendo se pensiamo che proprio Inzaghi, in estate, era stato più volte accostato ai bianconeri della Mole. Strano e stupendamente bellissimo pensare come – aldilà dei grandi nomi in rosa – la Vittoria vera risieda proprio nella volontà di chi – con il suo zaino pesante, pieno di scarpini, completino e parmigiana – non ha mai avuto il coraggio di arrendersi.