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Ciò che facciamo in vita, riecheggia nell'eternità

| Silvio Cancemi | Il bar dello sport

Daniele De Rossi, ''Capitan Futuro'', dopo una sola stagione al Boca Juniors, lontano da Roma, dà il suo addio al calcio giocato

MONREALE, 13 gennaio – Falso è dire che la storia si scrive. La storia si vive. Miti, leggende ed eroi non sorgono, non nascono come fili d'erba rugiadosi in un fertile campo. I miti si determinano, le leggende si edificano. Gli eroi si fondano, camminando su quelle orme talvolta troppo grandi, perché scavate dai Giganti, da coloro che vennero prima e che giganti - di certo - non ci sono nati. Daniele De Rossi non ha mai creduto di esserlo, un gigante. Ma determinandosi, passo dopo passo, in quella stessa storia che forse qualcuno aveva già immaginato, pensato e persino ideato, Capitan Futuro ha finalmente imparato a camminare. E quando quel 26 maggio 2019 tutti si alzarono in piedi, Daniele capì che la stazza di un uomo si misura solo in base alla sostanza dei ricordi di chi, con gli occhi e con il cuore, quella storia l'ha realmente vissuta. Ciò che facciamo in vita, riecheggia nell'eternità.

Soltanto un anno. È quel che è bastato perché si decidesse a smettere. Coraggioso – certo – ad accettare un'altra vita, un'altra strada. Un'altra casa. Sì, perché in fin dei conti casa sua è sempre stata Trigoria e quell'aria, quella benedetta aria che spirava da quei cancelli. Aveva imparato ad amarla a 16 anni quella brezza e ne era tanto innamorato da nascondersi negli spogliatoi, da bambino, ogni fine allenamento. Perché era quello il posto in cui voleva stare. Perché, riflessa allo specchio la scritta “ROMA” sulla sua maglia, corrosa da sudore e fango, si leggeva in un solo modo: AMOR. Su quell'erba Daniele aveva imparato a diventare un uomo, un campione del mondo, un capitano, un marito, un papà. Indolente di fronte a chi lo definiva una bandiera, rispondeva sempre che l'unico imperatore, a Roma, era quello che aveva il 10 sulle spalle e che lui – tra parentesi – venerava, come si venera un dio. Lui? Lui era solo un innamorato pazzo. Di tutto, poi. Come quando della persona che si ama sono i difetti a fare male. Ma è soprattutto di quelli che si è terribilmente pazzi. Ho solo un rimpianto, quello di poter donare alla Roma una sola carriera.

Poi arriva la chiamata dall'Argentina e nel Boca ricomincia la ricerca di quel pezzetto di Roma che la sua Roma non poteva più garantirgli – inutile indagare su quale fosse la vera ragione del suo mancato rinnovo contrattuale. La scelta, comunque, era già stata presa da tempo. Jorge Ameal, presidente dei gialloblu di Buenos Aires, non ha bisogno di dirgli nulla. C'ha già provato a dissuaderlo dalla sua decisione. Capitan Futuro fa ritorno in patria, ma questa volta la famiglia ad attenderlo non è quella dell'Olimpico. Ad Ostia ci sono moglie e figlie lontane e Daniele – da gigante assoluto – ne sente la mancanza. I giornalisti chiudono le agende, durante la conferenza stampa: non hanno più domande per quel ragazzo sorridente che il mare di Ostia lo aveva dipinto negli occhi.

Gli stessi occhi che, umidi di lacrime, quel 26 maggio 2019, gettarono intorno un'ultima gelosa occhiata agli spogliatoi, fucina delle sue roventi parole ai compagni tra un tempo e un altro. Gli stessi occhi che, questa volta sorridenti, salutarono Claudio Ranieri – anche lui all'ultima partita in vesti giallorosse, dopo esser tornato in fretta e furia da Londra perché quando la Roma ti chiama non puoi dire di no. Le parole in quel caso non hanno alcun valore, basta solo un lungo abbraccio ad esternare tutta quella filosofia che noi uomini alle volte sentiamo dentro, ma non abbiamo potere di esprimere. Il cielo, che in una notte d'estate del 2006 a Berlino gli aveva spalancato l'eternità, tingendosi d'azzurro, adesso piangeva e insieme a lui settantamila romanisti. Tutti in piedi per salutare il loro ultimo gladiatore, al momento di deporre le armi. Una mano era in alto, l'altra invece sul cuore, a sigillare per sempre quel momento. C'era un sogno che era Roma. Un sogno che poteva essere sussurrato. Qualsiasi cosa più forte, l'avrebbe fatto svanire.

 

 

 

· Enzo Ganci · Editoriali

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