Il ''Pazzo'' consegna i tre punti al suo Hellas Verona e colleziona due gol in A dopo due anni
MONREALE, 6 gennaio – E' il 30 ottobre 2017. Un giorno qualunque per molti, certo. Ma nella vita esistono date che dimenticarle è difficile. Tremendamente, terribilmente difficile. Quelle cifre – ferme, quasi pietrificate su di un calendario – cominciano a pesare, sempre di più, ogni anno che passa. Per Giampaolo Pazzini quel 30 ottobre 2017 è il giorno dell'ultimo gol in Serie A. Da lì in poi retrocessione, stop fisici, pochi minuti in campo. Ieri, con la sua seconda rete dopo quella rifilata al Torino nella spledida remutada in “zona Cesarini”, il Pazzo – a 35 anni – alza un dito al cielo, alto verso il cielo di Ferrara. Quelle sensazioni, quelle emozioni troppo a lungo desiderate sono di nuovo sue. Se lo desideri, accade.
Eroismo, insuccesso, redenzione. Provate – se ci riuscite – a trovare altre tre parole che meglio si sposino con la storia di quel giovane ragazzo toscano, in forze all'Atalanta. La “meglio gioventù” del calcio titolava Repubblica in un articolo-analisi sui giovani talenti nel giro dell'Under 21 della Nazionale Italiana. In quel pezzo, in appena una riga e mezzo, Giampaolo legge estasiato per la prima volta il suo nome (errato addirittura di una lettera, GiaNpaolo). E proprio quel nome lentamente si forgia, lettera dopo lettera, imprimendosi nella memoria collettiva di chi, Pazzini, lo ha amato e sdegnato, per il suo carattere – dal temperamento non sempre mite e pacifico – per le sue ossessioni, per i suoi errori. Sotto la stella doriana nasce il mito del Pazzo: alla Samp ai giornalisti piace esaltarsi perché in lui e Cassano scorgono di nuovo le ombre di Mancini e Vialli, l'eterna coppia del gol dello storico scudetto.
Ma quel secondo termine (insuccesso) è lì che attende, come oscuro tratto ineliminabile di una storia fino a quel punto bellissima. In fondo, doveva andare così: per un ragazzo che di semplicità e follia ha fatto il suo "dictat vivendi" le maglie a strisce ricordano grate, sbarre che ottenebrano e limitano, spezzano ali leggere, volatili. Come volatili e leggeri sono i suoi piedi. Nel 2015 è il Verona a dirgli che forse non è ancora finita, perché a 31 anni – dopo che tante operazioni hanno barbaramente vessato il tuo corpo – quel pensiero eccome se si fa strada nella tua mente. Due anni di Serie B, infortuni, poi la Spagna e la sua promessa di riscatto (presto infranta), infine di nuovo a Verona, a combattere, soffrendo e lottando. E nel 2019 arriva finalmente la promozione.
Redenzione. E' il 15 dicembre 2019. Per molti può essere un giorno qualunque. Ma nella vita ci sono date che è difficile dimenticare. Al Bentegodi di Verona, il Torino domina il campo con tre centri. Mazzarri è letteralmente impazzito, agitando le braccia verso un pubblico ammutolito. Giampaolo entra solo al 18' – fino a quel momento solo trentadue minuti in cinque presenze. Il resto, tutto il resto, non può esser dimenticato: braccio di Bremer, VAR-check, palla sul dischetto. Lì, agli undici metri, si presenta quel ragazzo della provincia di Pistoia, l'angelo dell'Atalanta e la dannazione delle Milanesi. Quel ragazzo sceglie la soluzione centrale, Sirigu si distende a sinistra. Quella partita finirà 3-3 e il Verona porterà a casa un punto vitale. Ieri invece, nella gara contro la Spal, il Pazzo indica alto con quel suo dito, come a voler rispondere presente a una chiamata con sé stesso, lui che ha sbloccato le marcature. Lui che in due anni aveva vissuto l'Inferno. Lui che nel suo habitat naturale, alla fine, ha ritrovato il sorriso.