La qualificazione è stata matematicamente raggiunta dopo l'1-0 contro la Grecia
MONREALE, 16 ottobre – "E' stato difficile, ma ce l'abbiamo fatta" citava un famosissimo spot pubblicitario in onda giusto un paio d'anni fa. Difficile non tanto il riuscire a collezionare risultati - del resto su quello non c'è mai stata storia sin dalla prima sfida delle qualificazioni. Anzi, l'obiettivo è stato addirittura raggiunto con ben tre giornate d'anticipo, successo mai accaduto nella centenaria storia della Nazionale Italiana. La vera difficoltà, ammettiamolo un po' tutti, è stata - scomodiamo il sommo Dante - nel tornare a rivedere quelle paradisiache stelle che raramente si scorgono dall'Inferno in cui, quel maledetto 12 Novembre 2017, ci eravamo andati a rintanare.
Sotto questo aspetto infatti, nulla si potrebbe aggiungere all'encomiabile lavoro messo in atto fino a questo punto dal nuovo ct Roberto Mancini. In un momento in cui il morale dell'intera nazione era riuscito a toccare minimi storici che non si vedevano, per l'esattezza, dal remoto 1958, unico precedente storico in cui gli azzurri non erano riusciti a conseguire l'accesso ai campionati del mondo che si sarebbero disputati (guarda caso, gaia Sorte!) proprio in Svezia, il tecnico marchigiano non ha usato nemmeno una parola al veleno nei confronti del suo predecessore Giampiero Ventura (amaramente ribattezzato, dopo il misfatto mister SVentura ndr.), convincendo giorno dopo giorno tutto l'ambiente intorno a Coverciano attraverso quell'unica promessa rivolta ai giornalisti già nella conferenza stampa di presentazione: riportare la Nazionale tra le stelle, proprio come quelle quattro che portiamo sul petto, allegoria di un dolce passato del quale ancora, ma solo con la memoria, ci glorifichiamo. L'impresa è stata compiuta. Ogni partita il peso dell'onta subita continuava a gravare, pesante, sulle spalle. Ma siamo riusciti a trasformarlo, modificandolo, plasmandolo a nostro piacimento, imprimendogli un sentimento su tutti: la rivincita. L'Italia, signore e signori, è ad Euro 2020. Ma in cosa dobbiamo sperare adesso?
Suvvia, parliamoci chiaramente. Via le maschere. Cosa hanno rappresentato realmente, per ciascuno di noi, le partite di qualificazione ai Campionati Europei? L'occasione per non staccarsi un solo secondo dal divano di casa e tifare come forsennati, magari sventolando bandiere e mascherandoci il viso? Non prendiamoci in giro: molti (forse troppi) hanno preferito senza alcun dubbio spegnere la televisione, cambiare canale, uscire per impiegare meglio il proprio tempo piuttosto che dare attenzioni a una squadra per la quale non era necessario - e nemmeno piacevole - prestare la propria voce. Non che si avessero tutti i torti, si badi bene. Del resto, chi avrebbe voglia di rivedere un amico anche dopo una banale scaramuccia, figuriamoci dopo un torto subito? La ferita era, ed è aperta. Sì, anche dopo questo traguardo mai dato per scontato. Innamorarsi di nuovo di un qualcosa che ci abbia fatto tanto male non è cosa semplice e nemmeno immediata. Qualche volta siamo riusciti a sorridere di nuovo, ad esempio quando abbiamo visto piangere come un bambino il 36enne Fabio Quagliarella, capocannoniere dello scorso campionato, dopo il ritrovato gol in maglia azzurra nella partita d'andata contro il Lietchenstein. Oppure quando abbiamo dominato, con lo stesso carattere che brillava negli occhi di Cannavaro, Tardelli, Rossi, Baggio e Schillaci, i novanta minuti contro la Bosnia, la vera contendente del nostro girone. Abbiamo fatto 8 vittorie in 8 gare ufficiali e con sole tre reti subite siamo la formazione che ha incassato meno di quanto non abbiano fatto i campioni di Spagna e Inghilterra. Lo stesso Mancini, con l'ennesima vittoria di ieri sera, ha eguagliato la partenza positiva della Nazionale di Pozzo nel '38 (con l'unica, semplice, differenza che quell'anno vincemmo il Mondiale!).
Per rispondere alla domanda lasciata fino a questo punto in sospeso, dunque, non possiamo certo sperare che l'Italia vinca l'Europeo (forse). Senza alcun dubbio la sfera in campo gira bene, il fiato nei giovani polmoni di Chiesa, Bernardeschi, Belotti, Emerson c'è, l'ampia visione di gioco del piccolo Verrati pure. Tuttavia è la connessione mentale tra i giocatori che deve ancora essere migliorata, quell'intesa che è la chiave per convincere e portarsi a casa le partite, magari con qualche gol in più, magari con qualche sudore in meno. Perciò, scommettiamoci. Cosa costa crederci? Del resto, almeno fino a prova contraria - e questo è un dato di fatto - la palla è rotonda e chissà. Già, chissà...