La macchina nella quale viaggiava prese fuoco sulle strade della Polonia. Aveva solo 36 anni
MONREALE, 3 settembre – Quell’annuncio lo ricordo ancora. Guardavo la Domenica Sportiva, che a quel tempo, quando non esisteva la pay tv, era una trasmissione “cult”, che tutti noi ragazzi di allora, appassionati di calcio, non perdevamo mai. Sandro Ciotti, il conduttore, si rabbuiò improvvisamente e la sua voce divenne ancora più roca di quanto non lo fosse già: “E’ morto Gaetano Scirea”.
Se ne andò 30 anni fa come oggi, a soli 36 anni, prigioniero della fiamme che accidentalmente avvolsero la macchina nella quale viaggiava sulle strade della Polonia, dopo aver visionato per la Juventus il Gornik Zabrze, futura avversaria di Coppa dei bianconeri. La notizia fu un vero e proprio choc per l’Italia del calcio e non solo per i tifosi della Juve. Una di quelle notizie che ti segnano e ti addolorano anche se il tuo tifo veste colori diversi. Quella sera, ospite negli studi Rai, c’era Marco Tardelli, compagno di Scirea di mille battaglie, che scoppiò in lacrime e fu costretto ad abbandonare la trasmissione. Anche e soprattutto per lui la scomparsa del “numero 6” della Juve e della Nazionale era un fatto difficile, troppo difficile da accettare.
Gaetano Scirea, infatti, non era solo un fuoriclasse assoluto in campo, campione del mondo ’82, ma soprattutto un grande, grandissimo esempio di correttezza, di sportività, di signorilità. Uno dei pochi giocatori a poter vantare il record di non avere mai subìto un’espulsione.
Davvero difficile trovare nella storia del calcio una figura del suo livello morale, un campione di eleganza e di stile come lui, sia in campo che fuori. Soprattutto oggi, in un calcio gridato, dove tutto diventa polemica, rissa, dove i toni sono sempre esagerati e dove i giocatori non hanno un centimetro quadrato del proprio corpo senza orribili tatuaggi, si sente ancor di più la mancanza di un campione del suo valore e della sua sobrietà.
Calcisticamente era l’incarnazione vivente del ruolo di “libero”, che oggi non esiste più: tempestivo nel raddoppiare la marcatura “a uomo”, intelligente come pochi nel leggere l’azione e assumere il piazzamento migliore. Volendo trovare qualche figura del suo livello nel suo ruolo probabilmente bisogna scomodare altre due leggende del calcio: Franz Beckenbauer o Franco Baresi. Piedi “educati”, degni di un centrocampista, non disdegnava, se necessario, spazzare via il pallone in tribuna, come dice un noto commentatore di Sky, “senza fronzoli”, pur di sventare una minaccia. Anche nelle battaglie più infuocate, sui terreni più pesanti o sotto la pioggia battente, difficilmente l’ho visto con la maglia sporca o fuori posto. Né mi pare di averlo mai visto spettinato.
Nella Juve, ma soprattutto in Nazionale, in ritiro divideva la camera con Zoff, un altro che alle parole, magari fuori luogo, preferiva i fatti. Quella stanza dai compagni era chiamata “la Svizzera” per l’ordine ed il silenzio che vi regnavano.
Scirea era il campione che noi ragazzini di allora avremmo voluto essere: un giocatore straordinario, un campione che ha vinto praticamente tutto quello che si può vincere, ma soprattutto un esempio di classe, tanto nelle movenze in campo, quanto negli atteggiamenti fuori. Di presenza lo vidi una volta sola: il 1° settembre 1985, quando la Juventus venne a fare visita al Palermo per disputare un match di Coppa Italia, vinto da Madama col punteggio di 3-1. La Favorita, allora lo stadio si chiamava così, era piena come un uovo, nonostante la giornata di caldo torrido (si giocava di pomeriggio, dal momento che l’impianto di viale del Fante allora non era dotato di illuminazione) e lui, con un fallo su Antonio De Vitis, procurò il calcio di rigore per il Palermo, che lo stesso attaccante rosanero trasformò, spiazzando Tacconi, per il momentaneo vantaggio rosa. Poi andarono a segno Laudrup, Platini e Serena e la Juve liquidò la pratica senza affanno. Il pubblico, forse dimenticando l’epoca in cui lo osannava durante il mondiale spagnolo, inveiva contro di lui. Ma Scirea non si curava di loro. Mai vista una sua reazione scomposta, una sua perdita di staffe. Scirea era un grande anche per questo. Ed oggi manca ancora infinitamente a tutti.