La perenne lezione di monsignor Naro sulla legalità

fumetto di Stefano Gorgone

Carissimo direttore,
nel XXX anniversario della tragica uccisione di padre Pino Puglisi e nell'approssimarsi del XVII anniversario della scomparsa dell'arcivescovo monsignor Cataldo Naro ritengo doverosa una riflessione sull'impegno della Chiesa locale per fare maturare le coscienze contro il fenomeno mafioso.

Monsignor Naro, storico della Chiesa apprezzato per la profonda capacità di analisi e per il rigore metodologico, riconosceva indubbiamente un ritardo culturale della Chiesa rispetto a questi temi e individuava una lunga fase di silenzio che ebbe fine con il cardinale Pappalardo e con Giovanni Paolo II quando nella Valle dei templi utilizzò per la prima volta parole come conversione, pentimento, giudizio di Dio, martirio. Esemplare può essere considerata la testimonianza di padre Pino Puglisi che, sostenuto dalla fede, non si è piegato alla pressione dei mafiosi ed ha accettato consapevolmente la morte pur senza cercarla. L'amore per il Vangelo fu più forte della paura della morte. Per il vescovo, questo è il contributo che un vero cristiano può dare, ossia “armare il cuore per resistere al male e consegnarsi e arrendersi a Dio”.

Padre Puglisi, come monsignor Romero, Rosario Livatino, Vittorio Bachelet, è un martire coraggioso ed ardente della fede e della legalità, un modello di vita cristiana non solo per i credenti, ma anche per l'intera società civile.
Monsignor Naro, durante il suo breve ma intenso ministero pastorale, ha contrastato ogni forma di prevaricazione mafiosa, ogni ingiustizia che potesse mortificare e paralizzare la crescita sociale e civile del territorio della diocesi monrealese. Da profondo studioso del movimento cattolico in Sicilia e del Partito Popolare italiano promosse ed avviò in alcuni comuni della diocesi i “Laboratori della partecipazione” che erano uno spazio per la formazione dei giovani ad una cittadinanza responsabile, per il confronto e il dibattito, per riscoprire il valore della dottrina sociale della Chiesa. Il suo fu un invito raccolto da diversi giovani, una forte sollecitazione a non rassegnarsi al male, a non restare indifferenti di fronte alla corruzione, a sapere leggere il proprio tempo con sapienza e discernimento, a considerare la politica come un atto di carità, un'attività nobile finalizzata al raggiungimento del bene comune.

“ L'ambizione della Chiesa - diceva - il contributo più efficace che essa può dare alla lotta alla mafia in un territorio come il nostro è che tutti i credenti si impegnino a vivere nella santità”. E' una santità vista anche come impegno di riscatto sociale, come antidoto alla violenza, come energia necessaria per lo sviluppo del territorio. E questo vale per tutti, per il carabiniere, per il politico, per il professore, per il bidello, per la guardia municipale. L'arcivescovo, pertanto, diede vita al progetto “Santità e legalità”, coinvolgendo gli amministratori di diversi comuni della diocesi, il consorzio “Sviluppo e legalità”, l'Osservatorio Giuseppe La Franca, l'Azione cattolica diocesana, le istituzioni scolastiche, tutti coloro che avevano a cuore il bene del territorio.

Aveva piena consapevolezza che la mafia non si può sconfiggere con la sola repressione e diede vita al progetto che aveva una natura prevalentemente educativa, si proponeva, infatti, di formare le coscienze sull'esempio di coloro che hanno avuto veramente a cuore il bene del territorio. Per il vescovo l'identità più vera delle nostre comunità non è rappresentata da coloro che hanno insanguinato le strade dei nostri comuni, ma dagli uomini e le donne che hanno fatto un cammino di santità. “Qui c'è una straordinaria storia di santità e di bellezza. La Chiesa di Monreale è il mio posto. Io l'amo e per essa voglio dare la mia vita senza riserve.

”E' un'espressione che indica un amore sconfinato del Pastore per la sua missione e che mi ha sempre suscitato una grande emozione per la sua carica profetica. Ricordo ancora bene la sua gioia ed i suoi occhi luminosi a Loreto nel settembre del 2005 per la beatificazione della partinicense Pina Suriano. Per il vescovo le figure di santità erano la parte migliore della nostra Chiesa locale e le presentava con orgoglio per ricordare che la santità può essere raggiunta da tutti anche in un territorio difficile come quello della diocesi di Monreale. In conclusione credo che il cammino tracciato da monsignor Naro, le sue straordinarie iniziative a carattere sociale e culturale, le sue indicazioni pastorali, il suo impegno per la qualità della fede, il suo amore per la Chiesa, il suo “arrendersi a Dio”, costituiscono un vero lascito spirituale, un testamento ideale per tutti noi e per le future generazioni.