Monrealesi particolari: breve viaggio tra i concittadini del passato (2)

fumetto di Aurelio Di Nicola

Seconda puntata dedicata ad alcune figure scomparse e al modo con cui erano chiamate

MONREALE, 22 novembre – Proseguiamo oggi, dopo l’ottimo riscontro di domenica scorsa, la carrellata di monrealesi un po’ “particolari” che appartengono al passato, che ci viene proposta da Aurelio Di Nicola.

Muscaredda
" Ni viremu rumani", ci vediamo domani , questa era la frase tipica di muscaredda, posteggiatore abusivo del comune di Monreale, un ritardato mentale, regalatoci dai palermitani ai tempi degli sfollati dalla guerra.
Credo che si chiamasse Giuseppe Bonomo, detto Pinuzzu muscaredda, la famiglia lo aveva abbandonato e viveva di elemosina e stenti chiedendo qualcosa a coloro che posteggiavano al baglio, in piazza o al canale.
Erano gli anni Sessanta e automobili in giro ce n'erano poche, si posteggiava senza paura di rimozione e Muscaredda ti dava tutte le indicazioni sbagliate per fare la manovra, provocando il più delle volte tamponamenti e graffiature alle auto, soprattutto dei turisti o dei palermitani che non lo conoscevano e seguivano le sue indicazioni.
La mancia, le 10 lire se glieli volevi dare bene, altrimenti lui si accordava con un ci vediamo domani che lui stesso ti anticipava se ti vedeva un po' perplesso; noi accettavamo tanto l'indomani ci saremmo visti l'indomani!

Tanuzzu
Era un omino molto sudicio, di età indefinita che accettava di fare tutti i lavori e per questo veniva sfruttato dalla gente; credo che gli piacesse molto il vino e che lo preferisse al cibo: la sua dimora abituale era la fontana del canale, fontana a cui si accedeva scendendo una decina di gradini; veniva impiegato per il trasporto dell'acqua; la notte la fontana diveniva un pisciatoio e nella notte Tanuzzu ubriaco si faceva pisciare in bocca!

A stipa lorda e a za Lilidda a Cannino
Erano le due comari della nonna Antonia, credo che la zia Lilì Cannino fosse parente, Ignazia Polizzi detta "stipa lorda", un' ingiuria, un soprannome che certamente risale al fatto che gli avi di questa vecchietta o lei stessa non dovevano avere un buon rapporto con la pulizia della casa e dei suoi suppellettili come la credenza che in dialetto si dice "stipo" che doveva essere sporco da qui il nomignolo, l'ingiuria dal mobile sporco, al femminile.
Tutte le sante mattine poco dopo la colazione le due donne raggiungevano la casa di mia nonna Antonia e con lei si appartavano in cucina, davanti una tazza di caffè comprato pronto e caldo da donna Caterina che di prima mattina preparava caraffe di caffè che vendeva ai lavoratori e al vicinato; donna Caterina abitava di fronte la Chiesa Del Collegio di Maria e cesserà la sua vendita nella seconda metà degli anni cinquanta con l' avvento del miracolo economico e dei bar che affiancarono il famoso Caffè Granà in piazza Vittorio Emanuele.
Dunque si riunivano e disponevano che non venissero disturbate da nessuno, donna Vevedda aveva l'ordine tassativo da parte della nonna, anzi che si sbrigasse perché doveva uscire per andare al banco del lotto, non appena la nonna avesse finito con le due comari.
Ma che si dicevano le tre comari?
Si raccontavano i sogni fatti durante la notte appena passata, li confrontavano e li interpretavano e vi attribuivano un numero della smorfia poi li accoppiavano tra loro e cosi nasceva l'ambo, il terno, la quaterna e così via.
Le giocate venivano consegnate a donna Vevedda, dopo la rigorosa divisione delle quote, perché andasse al banco lotto.
L'estrazione dei numeri avveniva una volta la settimana, il sabato sera.
Il 31 e 47, morto che parla, venivano spesso giocati con il 9 o con il 31 ma spesso si giocava solo l'ambo: era la giocata fissa sulla ruota di Palermo e quando questi numeri venivano estratti, lo strillone dell'Ora, Carmelo, lo bandiva come prima notizia del giornale per le strade del paese nel primo pomeriggio del sabato.
Sì perché allora il Giornale di Sicilia "usciva " al mattino e L'ora la sera.
Venivano venduti per le strade da Carmelo o in edicola, dal giornalaio, Nino Fedele che aveva l'edicola di fronte al negozio di nonno Totò e di cui era grande amico e a cui prestava i fumetti di nembo kid e altri indiani che mio nonno leggeva la sera a letto e restituiva intonsi la mattina dopo.
La domenica mattina le due comari guardavano i numeri estratti e si contavano più le perdite che le vincite.
Mia nonna "cucciava" nel senso che ogni tanto vinceva qualche soldo ma mai vincite che le potessero cambiare la vita.

A strippunedda e a bengasina
Erano le due dame di compagnia della notte nella sartoria della zia Lilì che lavorava fino a notte tarda per definire e consegnare i vestiti alle numerose clienti che affollavano il suo "atelier".
Mia zia era molto brava, creativa e molto nota: le migliori signore di Monreale e del circondario si mettevano in fila per avere cuciti i vestiti dalla Signorina Madonia.
Ebbene queste due signore la sera dopo cena davano compagnia a mia zia che lavorava fino ad oltre la mezzanotte; la signora lilla era per noi tutti la "strippunedda", guai a chiamarla così perché significava richiamare la sua sterilità. Veniva chiamata così come in dialetto erano chiamate le pecore che non restavano gravide: "strippe", da qui piccola strippa quindi strippunedda; la signora Lilla aveva preso in casa una sua nipote, l'aveva adottata ma questa non la riconobbe mai come mamma, maltrattava lei e suo marito; divenuta adulta li abbandonò per prendere una cattiva strada, come si diceva allora.
La signora Lilla tutte le sere, dopo avere preparato la cena al marito, veniva a casa dalla zia e l'aiutava ad imbastire i vestiti o a fare l'orlo oppure ricamava le tovaglie che prendeva per conto terzi a pagamento; dalla zia Lili veniva tutte le sere anche la signora Margherita, veneta di Castelfranco ma vissuta in Libia a Bengasi, da qui detta la bengasina, dove un monrealese di buona famiglia l'aveva messa incinta, l'aveva sposata e quindi portata a Monreale dove l'aveva parcheggiata presso i suoi parenti con i quali ella subito litigò.
Il marito se ne andò in Venezuela dove lo raggiunse il figlio Riccardo, non appena compì 21 anni
La bengasina rimase sola a litigare con tutto il vicinato siciliano e anche lei tutte le sere andava a dare silenziosa compagnia a mia zia Lili, silenziosa fino ad un certo punto perché non comprendendo il dialetto che parlava la signora lilla, travisava le parole e cominciavano liti furibonde.
Disprezzava i siciliani, era molto permalosa credeva che la signora lilla la prendesse in giro e lei reagiva di brutto con sonori ceffoni.
Ho ancora il ricordo delle dita della bengasina stampate sulla faccia della strippunedda in seguito ad un furioso litigio tra le due donne.
Io dormivo da mia zia ogni sabato sera e assistevo con molto divertimento a questi battibecchi tra due culture diverse.
Si ascoltava anche la radio e le canzoni del festival di Sanremo.
Una sera del festival la signora lilla dimenticò le chiavi di casa e per non disturbare il marito che fra l'altro non l'avrebbe neppure sentita, perché sordastro, dormì o meglio passò la nottata dietro la porta di casa e il mattino dopo il marito ne stava per denunciare la scomparsa ai carabinieri.

Vagghichicchia e Campalacasa
Quando ero bambino si aveva timore e talvolta anche terrore delle autorità e delle forze di polizia, compresi i vigili urbani "i puntuneri" ( dal colore della divisa: un punto di colore nero).
Ancora il ricordo della dittatura fascista era fresco nella memoria collettiva e i puntuneri erano una potenza di cui aver paura: anche del vigile, alto poco più di un metro e mezzo, tanto che il suo nome era non il vigile Vaglica ma Vaglichicchia.
Eppure quando i due vigili Vaglica detto " Vagghichicchia" e Sardisco detto "Campalacasa" erano di ronda per le strade del paese, le donne avevano timore delle multe e ritiravano la biancheria stesa, perché era vietato stendere dal balcone delle vie principali le lenzuola; i ragazzi fuggivano con il pallone per evitare che fosse sequestrato e tagliato.
Ma il vero terrore di grandi e bambini era "u boiacani", l'accalappiacani,
Precedeva un carro che trasportava una cella costruita con una grata di ferro a maglie strette.
In questa cella venivano rinchiusi i cani randagi acchiappati con un arnese a uncino e rete, bruttissimo, orribile a vedersi all'opera,
Procedeva lentamente per le strade di Monreale, assistito dai due vigili al centro della strada . era un boia proprio perché da boia faceva ai cani accalappiati.