“E’ venuto questa mattina al Comune il nuovo Capitano dei carabinieri: è molto giovane, spilungone, di bell’aspetto”. Così mi riferì mia moglie in un giorno del mese di giugno del 1980 e la notizia mi sorprese non poco.
Affidare ad un giovane Ufficiale il Comando di un vero e proprio avamposto dello Stato in un territorio molto pericoloso, segnato da recenti eventi tragici, non sembrava una scelta ben ponderata.
Questo episodio mi è rimasto ben impresso nella mente. Ricordare è, infatti, un dovere ineludibile per tutti, ma lo è ancor di più quando si tratta di martiri, di persone che hanno pagato con la vita l’essere stati fedeli servitori dello Stato.
Domani ricorre il 37° anniversario della strage di via Scobar, nella quale persero la vita il Capitano Mario D’Aleo, l’appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere Pietro Morici.
Aveva solamente 26 anni Mario D’Aleo quando fu trasferito nella nostra città ancora sgomenta ed impaurita per il brutale assassinio del capitano Basile. Nato a Roma, aveva bontà d’animo e un carattere solare, sempre incline alla battuta ed estremamente ironico, chiacchierone e sorridente. Più piccolo dei suoi due fratelli gemelli, era l’orgoglio della mamma, casalinga romana, e del suo papà, di origini siciliane e maresciallo dell’esercito. Appassionato di calcio, tifosissimo della Lazio, aveva militato con ottime prospettive nelle giovanili biancocelesti. Grazie allo sport era riuscito ad accattivarsi le simpatie di molti giovani monrealesi.
L’Ufficiale, pur sperimentando a sue spese di operare in un territorio infido, avviò con slancio generoso diversi filoni di indagine nella convinzione che “ il dolore più grande per un uomo è perdere la stima di sé ed anche la voglia di lavorare. Per questo mi batterò fino alla morte perché venga fuori la verità”. Ed infatti fare il capitano al posto di Basile era un compito molto duro e richiedeva sempre più la capacità di tirare avanti sempre con grande coraggio e con la schiena diritta. “Lo aveva capito giorno per giorno, cercando di imparare il mestiere”. Così dichiarò in seguito la sua fidanzata.
Nel suo lavoro il capitano D’Aleo ebbe modo di avvalersi della voglia di riscatto e delle preziose conoscenze sui fatti e sulle persone dell’appuntato Bommarito, originario della vicina Balestrate e del carabiniere Morici, originario di Valderice. Entrambi condivisero, come fidati autisti e collaboratori, con estrema lealtà e fino al sacrificio della vita, i tanti momenti di solitudine, i silenzi, le preoccupazioni, le fragilità, ma anche l’autorevolezza, la determinazione e le coraggiose iniziative del loro comandante.
L’attività investigativa dell’ufficiale e dei suoi collaboratori fu tragicamente interrotta nel giorno dell’onomastico della sua compagna.
Lo Stato ha conferito loro la Medaglia d’oro al Valor Civile, i monrealesi hanno intitolato al capitano D’Aleo l’Istituto d’arte e la villa comunale, la Casa del Sorriso ha istituito al suo nome una borsa di studio. Nella periferia della cittadina è stata intitolata una strada all’appuntato Bommarito. Tutti riconoscimenti che certamente non sono riusciti a lenire il dolore e a colmare il vuoto lasciato dalle vittime nelle loro famiglie. Un dolore così straziante che in poco tempo ha portato via anche i genitori dell’Ufficiale.
A noi tutti e alle Istituzioni è affidato ancora il compito di tenere vivo il loro grato ricordo e di rinnovare il nostro impulso ad un più intenso e convinto impegno civile per una cultura della legalità.
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