fumetto di Aldo Penna
ROMA, 11 ottobre - I meccanismi attraverso cui la mafia opera, come ci insegna la recente sentenza su Mafia Capitale, possono prescindere anche dalla dimensione militare, ma conseguire ugualmente i risultati che l’aggregato mafioso si prefigge, cioè l’arricchimento personale.
Una delle nuove modalità che sta imperversando negli ultimi anni ha come protagonisti il metodo mafioso e come coprotagonisti la corruzione di uno o più funzionari pubblici e come passaggio ultimo l’esborso di molti milioni da parte delle amministrazioni. Questo metodo non viene applicato agli appalti o alle estorsioni come avveniva un tempo: qui non si avvicina più l’imprenditore per non farlo partecipare ad una gara o il vincitore di una gara per pretendere una tangente o per estorcergli denaro.
Il nuovo meccanismo è più raffinato: si serve degli strumenti consentiti dalla legge, legge che viene piegata ai voleri di questo nuovo agire mafioso, e ha come risultato l’uscita dalle pubbliche casse di ingenti risorse che vanno ad arricchire la nuova mafia.Il meccanismo è semplice, ma ha tratti di diabolicità.
Prendiamo l’imprenditore Alfa che presenta all’amministrazione regionale o comunale, un progetto per l’installazione di un impianto produttivo (qualunque esso sia); a quel punto, c’è la prima fase corruttiva. Il funzionario preposto per individuare la fattibilità e la correttezza documentale del progetto, invece di procedere a quest’accertamento, ritarda la risposta, tende a far uscire fuori dai termini fissati dalla legge i passaggi procedurali e immediatamente pone l’amministrazione a cui ha giurato fedeltà e lealtà nelle condizioni di essere aggredita dalla contestazione che l’imprenditore gli muoverà. Puntuale, come il sole del mattino, l’imprenditore (non tutti per fortuna!) dà mandato ad uno studio legale (quasi sempre lo stesso), di muovere una contestazione formale all’amministrazione pubblica, mettendo in rilievo i danni arrecati dalla risposta fuori dai tempi previsti dalla legge da parte del funzionario infedele. Si apre un contenzioso e spesso la difesa della PA è inadeguata, per incapacità o perché “spinta” a non esserlo, e arrivando alle varie fasi del giudizio, l’amministrazione pubblica puntualmente soccombe ed è condannata a pagare risarcimenti milionari all’impresa ricorrente.
Risultato: un fiume di milioni di denaro pubblico esce senza che all’amministrazione pubblica sia stato corrisposto un bene, un servizio o altra utilità. La mafia ha conseguito, senza sparare un colpo, senza intimidire nessuno, il risultato che in altri momenti ha dovuto conseguire con il terrore e, anzi, li ha conseguiti al riparo della legge, impugnando la sentenza come arma. Tutte queste somme vengono iscritte dagli enti pubblici come debiti fuori bilancio e vanno ad incrementare il passivo che sta stritolando le pubbliche amministrazioni. Ancora una volta, se cerchiamo i responsabili dell’impossibilità nell’erogare i servizi necessari ad una comunità, questi vanno cercati sì nella cattiva amministrazione, ma anche in questo nuovo filone aurifero che la mafia ha attivato in maniera silenziosa, senza timore di essere perseguita e che sta procacciando enormi ricchezze ai suoi ideatori.
La politica e la magistratura dovrebbero prendere cognizione di queste nuove manifestazioni del metodo mafioso e correre ai ripari. La politica, vigilando sulla lealtà dei propri funzionari, e la magistratura, monitorando le anomalie che nell’arco degli ultimi anni hanno fatto crescere a dismisura i contenziosi e le liquidazioni milionarie.
* Deputato del Movimento 5 Stelle