Beni Culturali in Sicilia: un argomento scomodo da trattare

Il nsotro opinionista Michele D'Amico durante la sua recente partecipazione a "L'Arena"

fumetto di Michele D'Amico

Dopo avere partecipato alla trasmissione “l'Arena”, argomento “i beni culturali siciliani”, ho deciso di leggere i commenti che tanti telespettatori hanno inviato nel corso della trasmissione. Leggere i commenti fornisce l'occasione per conoscere le opinioni di uomini e donne che lavorano nel settore dei beni culturali ma anche di chi nulla ha a che vedere con questo ambito.

Commenti di uomini e donne che non conosco e che a loro volta non conoscono me. Persone che non hanno idea di cosa io faccia, come operi, da quanto tempo lavori, che insomma non conoscono assolutamente nulla di me. Commenti sfrontatamente durissimi, alcuni anche offensivi sul piano morale. Chi mi apostrofa “ladro buffone”, chi si meraviglia di come ancora nessuno mi abbia pestato, dal momento che lo meriterei davvero. Chi mi augura di crepare prima possibile, chi mi vorrebbe già morto, chi mi prende, addirittura, per mafioso.

Commenti che lasciano perplessi, ma allo stesso tempo forniscono un preciso indicatore di come possa essere velocemente condizionata la pubblica opinione grazie, nel caso specifico, alla strumentale e scellerata conduzione di un programma televisivo che afferma il principio di "tutti contro tutti", quando invece sarebbe auspicabile la preparazione di programmi televisivi di approfondimento e di reale confronto, in cui potere esprimere anche aspre critiche, purché costruttive.

Nel corso della trasmissione sono state messe a confronto organizzazioni lavorative diverse, riconducibili a quadri normativi diversi, del tipo pubblico/privato, confermando la tendenza più in voga dell'ultimo ventennio, ovvero da una parte la demonizzazione del “pubblico”, dall'altra l’affermazione che il “pubblico”, per potere essere efficiente, debba diventare privato e pertanto anche la gestione dell'intero sistema dei beni culturali. Spesso si pone a confronto la gestione statale con quella privata, di musei e fondazioni. Sentiamo dire sempre più spesso che una gestione privata dei musei significherebbe una gestione più efficiente, promozione più efficace, occupazione, sviluppo e così via. Questi discorsi sono noti. Sono condivisi da tutto l'arco politico, da destra a sinistra, e a poco serve mettere in guardia dalle illusioni, dalle ingenuità, dai pericoli. Un filosofo politico che visse tra il cinquecento e il seicento, Francesco Bacone, era solito sostenere che non si contrastano le idee dominanti quando la politica, i media e l'opinione pubblica hanno deciso di farle proprie.

In Europa, l’Olanda ha avviato il processo di privatizzazione dei propri musei già dalla fine degli anni ottanta. Da noi, quasi alla fine anni novanta, i teatri nazionali sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato. Il decreto legislativo n. 368/1998, dell'allora ministro Veltroni, prevedeva che il Ministero ai Beni e alle Attività Culturali potesse costituire o partecipare ad associazioni, società o fondazioni e redigere accordi con soggetti ed enti pubblici e privati. Nel codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo n. 42//2004, è prevista la gestione diretta o indiretta della valorizzazione dei beni culturali laddove: "la gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono…".

L'ingresso dei privati nella gestione della valorizzazione del sistema dei beni culturali potrebbe garantire una gestione caratterizzata da procedure più rapide. Da un lato sarebbe un sistema efficace per superare la crisi e non dovere subire le conseguenze dei continui assottigliamenti delle risorse che sono state, nell'ultimo decennio, sempre meno a favore dell’assessorato ai Beni Culturali dove gli assessori di turno hanno accettato passivamente questa triste politica dei tagli, nonostante il già ridicolo ed infimo bilancio. Ma dall'altro ci si dovrebbe chiedere a quale prezzo.

Chi scrive ritiene che i privati, nel meridione d'Italia e in particolare in Sicilia, non possano essere la cura adatta. Non si può non riflettere sui problemi che potrebbero sorgere in una fase di transizione di non poca durata. Si rischierebbe l'instaurarsi di uno scontro che vedrebbe da una parte il nuovo e dall’altro i possibili condizionamenti che la componente tecnico-scientifica interna subirebbe, essendo sottoposta ai finanziatori, fondazioni bancarie, ammesso che ce ne fossero, oltre che a rappresentanze politiche locali o regionali, estremamente frammentate con le loro alchimie di differenziata e variegata rappresentanza.

In Sicilia, non vi è dubbio alcuno circa la mancanza di grandi banche sul territorio e, invece, dell'esistenza di una classe politica regionale autoreferenziale, incapace di creare sinergie tra rappresentanze politiche locali e investitori locali. In Sicilia, con la mancanza di grandi banche locali e grazie ad una politica che ha dato ampia dimostrazione di non sapere perseguire alcuna azione volta al bene comune, a farne le spese sarebbe lo stesso sistema dei beni culturali siciliano. Questo invece ha, da qualche anno, avviato un processo di riassetto delle strutture e di rinnovamento al proprio interno. E’ prevedibile che i frutti di tale processo non tarderanno ad arrivare a patto che la politica regionale la smetta di tagliare fondi al medesimo sistema perseguendo quanto ad esempio fatto con la recentissima legge regionale che mette nella disponibilità del dipartimento Beni Culturali il 30% dei proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d'ingresso dei siti, allo scopo di destinarli all'incremento e alla valorizzazione del patrimonio culturale.

Gli attori politici attuali e coloro che a breve siederanno gli scranni del più antico parlamento esistente, dovrebbero fare tesoro dei temi principali che sono stati trattati nel corso dei lavori del G7 che ha visto la partecipazione dei ministri della cultura di Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Canada, Giappone, nonché rappresentanti e delegati dell'Unione Europea, del Consiglio d'Europa, dell'Unesco e delle principali istituzioni culturali internazionali.

Temi che sono stati inseriti all'interno della dichiarazione di Firenze, luogo dove si è svolto il vertice, e che vede la cultura come strumento di pace e di dialogo nell’attuale contesto di crisi del sistema geopolitico mondiale. Nel corso del vertice fiorentino è stata affermata l'importanza primaria della protezione e della tutela del patrimonio culturale mondiale dalle minacce del terrorismo, delle calamità naturali e del traffico illecito; l'importanza della fruizione del patrimonio culturale anche tramite campagne di sensibilizzazione del pubblico; l’importanza delle attività di formazione e di ricerca nelle istituzioni culturali allo scopo di preservare la memoria del passato per le future generazioni; l’importanza di promuovere la comunicazione in ambito culturale e la necessità di politiche finalizzate ad avvicinare i cittadini al mondo dell’arte e della cultura.