Lucernario

lucernario

Di José Saramago

“Lucernario”, ovvero il romanzo perduto di Saramago, pubblicato a quasi due anni dalla morte dell’Autore. Singolare è la storia di questo manoscritto. Esso, primo tra le opere di Saramago fu scritto nel ‘53, ma non fu mai preso in considerazione dall’editore, poiché nessuna risposta fu mai data, e così scivolò tra i polverosi archivi della casa editrice, dove dormì per 46 anni.

Il premio Nobel, José Saramago, una mattina del 1999 ricevette una telefonata: la casa editrice ristrutturava i locali e comunicava che era stato casualmente trovato un suo manoscritto. L’autore, emozionato ed incredulo, lo andò a prendere personalmente, ma ne rifiutò la pubblicazione: “ Grazie, ora no!” rispose, lo portò a casa stringendolo amorevolmente tra le braccia, felice per quella proposta tanto attesa, lo conservò gelosamente, dando istruzioni che fosse pubblicato solo dopo la sua morte.

Quel lontano silenzio, aveva inferto un grave colpo al giovane Autore, poiché anche una risposta negativa sarebbe stata accettata, ma il silenzio significava l’indifferenza, il nulla: un limbo dal quale Saramago uscì dopo 20 anni con la pubblicazione di un altro “primo romanzo”.

L’autore di “Lucernario” è un giovane autore, che ha sete di raccontare la realtà, la cruda verità nascosta dall’ipocrisia, dalle convenzioni, dalle apparenze tenacemente rispettate che sono il fondamento della tranquilla vita quotidiana degli abitanti di un modesto condominio di Lisbona anni ’40, in pieno regime salazarista.

Ogni appartamento racchiude un microcosmo nel quale agiscono potenti forze sommerse. Ciascun nucleo familiare rappresenta per aspetti diversi, la piccola borghesia portoghese, che conduce una vita fatta di lavoro duro, compensato da magri guadagni. L’unica eccezione è la signorina Lidia che vive nel lusso mantenuta da un ricco industriale in cambio di serate trascorse insieme sempre in orari e giorni precisi.

Ogni personaggio recita la sua vita anelando al cambiamento della stessa, combattuto tra il mantenimento del tranquillo ma insoddisfacente “statu quo” e un futuro diverso e appagante. Poco per volta impariamo a conoscere quegli uomini e soprattutto donne, descritte con sottile psicologia. Justina, Adriana, Isaura, Carmen, ciascuna con la sua disperazione inconfessabile.

Il narratore ci presenta questo piccolo universo attraverso gli occhi di Silvestre, un ciabattino di mezza età che abita e lavora nel piano rialzato del palazzo: egli conosce tutti e a tutti sorride, rivolgendo amichevoli parole; è il filosofo della vita semplice onesta, sempre piena di amore e allegria, non gli importa della povertà che lo circonda perché lui e sua moglie Mariana, sono ricchi d’amore.

Un giorno arriva un giovane, Abel, che prende alloggio in una stanza in subaffitto in casa di Silvestre; egli è pieno di disillusioni, si ferma dove trova un lavoretto, abita dove trova un alloggio a buon mercato, non aspira ad un lavoro fisso, perché la monotonia lo spaventa, apparentemente non ha aspirazioni né ideali; è un giovane alla ricerca di se stesso che stabilisce un sincero rapporto di affetto con Silvestre.

Nell’oscura stanza del ciabattino, davanti ad una scacchiera, essi confrontano le loro differenti visioni della vita. Nel corso di interminabili partite Silvestre ascolta e parla ad Abel e confuta con amore e comprensione le concezioni esistenziali del giovane come un bonario nonno. Forse il momento più avvincente del romanzo è proprio il dialogo “terminale” fra Silvestre ed Abel.

Silvestre parla di un amore “attivo e lucido”, quasi evangelico che salverebbe il mondo e darebbe senso all’esistenza. Abel contesta a questo amore di non aver agito quando sarebbe stato possibile e necessario e di porsi perciò in posizione di superiorità rispetto agli altri uomini: un’utopia che sa di essere tale e non aiuta gli uomini a cambiare davvero la loro storia Nel frattempo il corso degli eventi ai piani superiori avanza: ogni famiglia si avvia al cambiamento drastico e doloroso, tanto temuto e voluto.

Proprio per questo sarà necessario addossare la colpa a qualcuno, all’estraneo a colui che sta fuori dal coro. Non ha importanza se il “ capro espiatorio “ sarà del tutto estraneo alla faccenda: qualche abile parola, qualche frase ambigua detta al momento giusto e ogni cosa sarà riportata nella dimensione della giusta rispettabilità delle famiglie del condominio, poco importa se questa rispettabilità significa disprezzo per se stessi e sensi di colpa, tutto viene soffocato con il miraggio di un miglioramento dell’esistenza anche economico, e col tempo il peso sul cuore diverrà un’abitudine lieve.

Caterina Puleo

Lucernario
di José Saramago

Editore: Feltrinelli