Quel che una pianta sa

Quel che una pianta sa

Di Daniel Chamovitz

Attenti alle piante! Dopo aver letto questo libro, non solo confermeremo in noi il dovere di rispettare queste creature tanto utili e belle, ma ne avremo quasi timore e ce ne sentiremo giudicati.

Procediamo per esempi. Il Maryland Mammoth, pianta di tabacco gigante, coltivata nel Maryland già dal 1700, è dotato di fotoperiodismo, ossia, esposto a lunghe giornate estive continua a produrre foglie, mentre, esposto artificialmente a giornate più brevi, produce fiori. Dunque, le piante misurano la quantità della luce che captano. Molte di esse fioriscono solo se il giorno è corto e vengono dette “brevidiurne”, altre solo se è lungo e vengono dette “longidiurne”.

Esperimenti relativamente semplici hanno mostrato che le piante non misurano la lunghezza del giorno, bensì quella della notte. Illuminando in piena notte qualunque pianta con lampi di luce rossa, si altera il momento della fioritura. L’uso della luce verde o blu non agisce sulla fioritura, ma una luce blu anche molto fioca dice alla pianta verso quale direzione deve crescere.

Dunque le piante distinguono i colori e misurano le lunghezze d’onda della luce visibile reagendo in modo diverso a ciascuna di esse. Altra curiosità: gli apparati visivi vegetali e animali hanno in comune i recettori della luce blu, detti “criptocromi”. Essi sono responsabili in noi come nelle piante della regolazione del ritmo circadiano (quello il cui sfasamento causato dai viaggi intercontinentali chiamiamo jet lag).

Se modifichiamo artificialmente il ciclo giorno-notte della pianta, anche questa subirà il jet lag. Il criptocromo, dunque, in noi come nelle piante, coordina i segnali provenienti dalla luce esterna con l’orologio interno. Poiché anche batteri e funghi unicellulari hanno un orologio interno, occorre concludere che il criptocromo esiste da quando esistono gli unicellulari, ossia ben prima che il regno vegetale e quello animale si separassero. Il criptocromo, dunque, nella notte dei tempi, monitorava la luce ambientale, relegando la divisione cellulare al periodo notturno, per proteggere la cellula dalle radiazioni UV.

Ancora una volta abbiamo la prova che l’evoluzione conserva ciò che funziona ai fini della sopravvivenza della specie. E’ accertato, inoltre, che le piante rilevano una sostanza chimica volatile nell’aria e reagiscono di conseguenza. Questa capacità non può chiamarsi olfatto, perché non ci sono nervi olfattivi, ma è un’abilità in tutto analoga al nostro olfatto.

Ad esempio, un frutto maturo induce i frutti verdi vicini a sé a maturare, emettendo etilene nello spazio circostante. Inoltre, le foglie aggredite da insetti o virus emettono nell’aria metiljasmonato, o metilsalicilato, per segnalare alle foglie sane e alle piante vicine l’urgenza di produrre sostanze per difendersi da tali agenti. Più olfatto di così… Le piante sono dotate di tatto. Tale senso è affidato a un sistema elettrico di depolarizzazione di membrana e produzione e conduzione di ioni calcio in tutto simile a quanto accade nei nostri neuroni.

Tale sistema è responsabile, ad esempio, della reazione della Mimosa pudica al contatto con le nostre dita. Una pianta ha un sofisticato sistema per sapere sempre dove si trovino l’alto e il basso, sistema molto simile alla nostra propriocezione che parte dall’orecchio interno nel quale i canali semicircolari contengono gli otoliti, gravisensori per mezzo dei quali sappiamo sempre dov’è l’alto e dov’è il basso.

Nelle piante, agli otoliti si sostituiscono gli statoliti presenti sia nella cuffia della radice (per indicare il basso) sia nell’endodermide dello stelo (per indicare l’alto). Il volgersi delle piante verso la sorgente di luce è garantito dalle auxine, ormoni della crescita che provocano l’accrescimento del tessuto nella parte opposta alla sorgente luminosa. Ma il capitolo più emozionante di questo breve libro (147 pagine) è certamente l’epilogo nel quale l’Autore sostiene che la pianta, a suo modo, ha consapevolezza: del suo ambiente visivo, dei profumi che la circondano, della gravità, del passato (memoria immunologica e memoria tattile).

Inoltre, attraverso tutte queste analogie con la nostra fisiologia, l’Autore ci ricorda quanto, geneticamente, siamo simili alle piante, anche se i due rami evolutivi piante/animali si sono separati due miliardi di anni fa. L’onestà intellettuale, il rigore scientifico, l’ampiezza della documentazione e la vastità della cultura dell’Autore fanno di questo excursus scientifico nella biologia un’occasione mai banale e mai noiosa per volerne sapere di più.

Perciò questo libro ci migliora e, prospettandoci nuove riflessioni, fa cambiare il nostro atteggiamento nei confronti delle piante. Per la cronaca, per gustare questo libro non occorrono approfondite conoscenze scientifiche, ma solo una sana curiosità.

Rosa La Rosa

Quel che una pianta sa
di Daniel Chamovitz

Editore: Cortina Raffaello