Di Andrea Vitali
Stavolta non siamo nell’era fascista, come accade in altri romanzi di Vitali, ma l’ironia verso il potere c’è sempre e sempre più feroce.
Stavolta, però, il potere non è quello dei gerarchi, ma quello dei ricchi, anzi degli arricchiti che credono di aver dominato il mondo, il presente, l’avvenire e tutti coloro che annaspano nella crisi del dopo-bum. Siamo infatti negli anni ’70 e il protagonista, Oscar, è un operario generico in cassa integrazione, alle prese con un bilancio casalingo che non è più in grado di controllare e far quadrare e con la moglie Ilde, dal carattere deciso e dalle idee molto chiare.
Per un caso fortuito, Oscar trova una carta d’identità da cui prende l’avvio la vicenda e risale ai movimenti sospetti della moglie. Il dialogo che si svolge al ristorante fra il ricco amante della moglie (che non sa chi ha davanti) e il marito tradito che versa in condizioni economiche a dir poco precarie, è esilarante, ma verissimo, attendibile e ci pare di conoscere da tempo i dialoganti, perché le connotazioni delle loro personalità sono precise e (a starne fuori!) di grande effetto comico.
Anche il finale ci fa ridere, sempre di quella risata affettuosa di chi si è affezionato al personaggio, perché l’Autore è stato così bravo da rendercelo amico. Ancora una volta, il lago di Como è il mondo e la provincia l’umanità vera.
Rosa La Rosa
Di Ilde ce n’è una sola
di Andrea Vitali
Editore: Garzanti