MONREALE, 4 maggio – "Sarà la festa dei monrealesi". Ebbene sì, lo è stata. Sotto ogni singolo, topico, caratteristico aspetto. Ripescare le parole dal sindaco Alberto Arcidiacono, adottate durante la conferenza stampa di presentazione del calendario di eventi della "Festa", giova oggi a scoprire quanto identificativi fossero tutti quei connotati che, benché cristallizzati nel tempo, definiscono il concetto stesso di tradizione a cui rinunciare è davvero difficile.
Come da tradizione, ogni 4 maggio che si rispetti. E su questo punto, c'è davvero poco da discutere. Due anni senza che il “Patruzzu Amurusu” scivolasse per le vie storiche della cittadina normanna, abbracciato dalle preghiere e dal calore umano di migliaia e migliaia di fedeli, sono stati la sentenza più tetra che mai ci saremmo aspettati di affrontare. La "Festa" – per un monrealese – da 396 anni, infatti, si scrive con la F maiuscola. E il via libera ottenuto affinché quest'anno finalmente si potesse tornare a celebrarla con ogni sforzo possibile non poteva certamente lasciare indifferenti a qualsiasi moto d'emozione. Scegliere di affrontarla alla maniera "monrealese" era l'unica strada percorribile. E su questo – possiamo dirlo senza peli sulla lingua – l'amministrazione Arcidiacono e l'intera macchina organizzativa hanno senz'altro fatto centro. Tamburinai, banda musicale, torrone, calia e simenza, canti e danze folk, sfilate, spettacoli serali non solo non potevano, ma non dovevano mancare.
La risposta al perché è semplicissima, quasi scontata: è questo che ci rende monrealesi, è questo che ci fa riconoscere l'un l'altro, è questo che scongela il torpore di un anno intero per catapultarci in una girandola di luci e colori che – anche per solo una manciata di giorni – ripagano l'attesa, ci riuniscono. Se a questo substrato di tradizione pura e ineliminabile si aggiunge qualche ritocco di stile (fontane danzati, concerto oceanico dei The Kolors ecc) il gioco è presto fatto. Chiaro, l'ansia era tanta. La paura e i nuovi timori che quei due maledettissimi anni ci hanno lasciato in eredità, come carico gravoso che per chissà quanto tempo continueremo a portarci dietro, non potevano – anch'essi – essere trascurati. Ma la voglia di tornare alla normalità, di dimenticare seppur per qualche ora quel passato così buio, era tanta. Lo ha dimostrato la fiumana di gente che ha accompagnato il simulacro del Crocifisso, instancabilmente, fino alle prime luci del mattino. Lo ha dimostrato l'entusiasmo – tradotto in applausi e manifestazioni di gioia – al termine di ogni spettacolo pirotecnico.
Lo hanno certamente dimostrato questi giorni, saturi di tutto ciò che per noi monrealesi con un solo aggettivo – schietto e semplicistico – è importante. Pensare a cosa poteva andar meglio, a quale aspetto è venuto meno, dove si poteva dar di più è compito adesso degli stessi organizzatori. Arduo, certamente. Perché si sa bene che quando il frutto del proprio lavoro e delle proprie fatiche (specialmente se in un arco di tempo brevissimo) riscuote un così vivido successo, ripetersi senza deludere le aspettative di tutti non è affatto impresa semplice e agevole da affrontare. Di tempo per pianificare, per organizzare, per riflettere e rispondersi ce ne sarà, sperando ovviamente che notizie confortanti sul piano sanitario continuino ancor più che in questo momento a scortare le nostre giornate da ora in avanti. Ad alimentare la speranza comunque che il meglio potrà sempre venire ci penseranno giornate come quella di ieri. Ottimistiche, festose, gioiose. Che importa se tradizionali. Solo un monrealese, del resto, può capire.
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