MONREALE, 24 aprile – Alzi la mano chi in questo momento ha voglia di sorridere pensando al gol di Ciccio Brienza a Gigi Buffon. O alla punizione magica di Eugenio Corini che tolse le ragnatele dalla porta dell’Inter difesa da Julio Cesar. Alzi la mano chi ha ancora negli occhi il gioco di prestigio effettuato da Miccoli davanti a Nesta a San Siro contro il Milan o la serpentina di Amauri a Firenze, prima di assestare una micidiale rasoiata. Zamparini è riuscito anche in questo: ha fatto dimenticare ai tifosi palermitani dieci anni di meraviglie, di urla a perdifiato, di soddisfazioni immense.
Difficile in questo momento tirare fuori la solita solfa della riconoscenza all’imprenditore friulano per aver riportato il Palermo in serie A dopo più di quarant’anni e per aver fatto vivere alla città una lunga stagione di fasti. In questo momento il popolo rosanero si sente sconfitto, umiliato, tradito. È bastato un campionato, che con un eufemismo possiamo definire “indegno”, per far dimenticare quello che di buono in tanti anni è stato costruito. D’altronde, come dice un vecchio proverbio: per cent’anni si campa, in un minuto si muore. E hai voglia di fare l’elenco delle prodezze rosanero degli ultimi 14 anni, magie che hanno riempito i cuori rosanero nell’era Zamparini. Il quadro attuale è quello della desolazione, dello sconforto e delle macerie che occorrerà spalare da ora in avanti.
Personalmente ritengo di essere nel gruppo (folto) di quelli che vantano le maggiori presenze allo stadio Barbera (anche quando si chiamava “La Favorita”) da circa quarant’anni a questa parte: negli ultimi vent’anni per motivi professionali, ma prima per tifo, per amore della maglia e della città. Ho avuto un lungo passato, da curvaiolo, che non rinnego, trascorso con la sciarpetta rosanero legata al polso, che custodisco ancora gelosamente. So cosa significa dormire male sabato notte in attesa della partita. Appartengo alla schiera di coloro che andavano allo stadio con larghissimo anticipo perché… non si sa mai. Di coloro il cui umore del lunedì mattina dipendeva dal risultato della domenica. Di quelli che si sono spesso accapigliati in lunghissime discussioni da bar dello sport. Insomma sono uno che il calcio lo ha sempre vissuto come una grande passione e della maglia rosanero ha fatto una stella polare.
Se però anche uno come me, preso a campione significativo, che per anni ha mangiato pane e pallone (e malgrado l’età continua a mangiarne) non riesce a guardare le partite del Palermo nemmeno su Sky, per evitare di alterare i valori delle transaminasi, allora il quadro è completo. E poco c’entra il risultato vergognoso della partita giocata ieri contro la Lazio, nella quale il Palermo era già sotto 5-0 dopo soli 25’ di gioco. È solo l’ultima tappa di un’agonia che tutti si augurano finisca presto.
Per carità, nessuno si era fatto illusioni. Guardando la rosa dei giocatori di quest’anno, anche il mio amico Totò Saverino, non me ne vorrà, forse il più incompetente dell’umanità su argomenti calcistici, non avrebbe puntato un euro sulla salvezza rosanero. Il Palermo era retrocesso già… ad agosto e lo svolgersi del campionato è servito solo a stabilire il triste primato della squadra più scarsa della storia della serie A: peggio del Catania 83-84 di Pedrinho e Luvanor, quello del presidente Angelo Massimino, che voleva comprare pure… l’amalgama.
C’è modo e modo, però, di retrocedere ed il Palermo ha scelto quello peggiore: quello della resa incondizionata, sul piano morale prima ancora che sportivo. Ad essere offesa non è solo una maglia: è un’intera città e ancor più la sua storia. È questo ciò che a Zamparini, malgrado fasti e prodezze, nessuno perdonerà mai.
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