"La povertà del Presepe porti un futuro ricco di speranza"

Nostra intervista esclusiva all'Arcivescovo di Monreale

MONREALE, 17 dicembre – Pace, buona volontà, lavoro, famiglia, solidarietà, pericolo droga. Sono solo alcuni temi affrontati da monsignor Salvatore Di Cristina, arcivescovo di Monreale, nel corso di un'intervista esclusiva rilasciata al nostro quotidiano.

Col Natale alle porte arriva l’occasione per una lunga riflessione a 360 gradi su alcuni aspetti che caratterizzano i nostri tempi e soprattutto il nostro territorio, assieme ai tradizionali auguri di fine d’anno. Difficile, pertanto, non partire dall’enorme crisi economica che attanaglia la nostra economia e mette in ginocchio perfino la sopravvivenza di molte famiglie.

Eccellenza, come crede che vada affrontato questo difficilissimo momento che stiamo attraversando?
«Questa crisi, che raggiunge in maniera concreta le risorse personali, ci deve fare rimboccare le maniche e farci dirigere verso il risparmio. Dobbiamo dare peso a ciò che è essenziale. Anche le singole famiglie devono impostare un’economia familiare più attenta. La crisi, oltre a provocare il danno imminente, può creare quello più pericoloso della paura sul futuro. Ma anche la Chiesa e le amministrazioni locali diano il buon esempio: rinunciando alle feste senza badare a spese. Meglio utilizzare le risorse per i poveri, che sono i veri danneggiati da questa crisi. E le feste religiose tornino ad essere religiose».

In situazioni difficili come quella attuale, solitamente esce fuori la solidarietà…
«La solidarietà impone di cambiare lo stile di vita ed ha bisogno di una molla. È un valore che cova sotto la cenere, per farlo uscire fuori ci vogliono stimoli. Consideri che la diocesi di Monreale conta circa 240 mila abitanti. Se dovessimo raccogliere centomila euro per realizzare qualcosa basterebbero 50 centesimi a testa…».

La crisi di valori miete vittime soprattutto tra i giovani, spesso privi di modelli o attenti a quelli sbagliati. C’è una medicina per riavvicinarli ai valori sani?
«Purtroppo facciamo i conti pure con il grosso pericolo-droga. Abbiamo bisogno di un efficace apostolato giovanile e punti di aggregazioni alternativi a quelli che ci sono. Prima questi erano numerosi, poi, via via, sono venuti meno, assieme, forse, alla passione del clero. La chiesa deve cambiare la propria offerta, adeguandola ai tempi che viviamo. Lo sport è sempre lo sport, assieme allo spettacolo. Ci vuole passione e circondarsi di ragazzi capaci a cui dare spazio. Se dobbiamo spendere cento euro, anziché spenderli per le luminarie, spendiamoli inventandoci un concorso artistico o acquistando uno strumento».

Eccellenza, come deve intendersi il ruolo dei laici all’interno della chiesa?
«L’anno scorso parlavo di queste cose, ma non sono sicuro di essere stato compreso. Quando parlavo dell’impegno dei laici non mi riferivo a quelle persone che danno una mano a livello parrocchiale, anche se c’è bisogno anche di questo, ovviamente. L’impegno dei laici significa impegno delle persone che sul proprio posto di lavoro esprimano la loro fede cristiana. Abbiamo bisogno di buoni professori, educatori, buoni politici, operatori sociali. Di persone, cioè, che queste cose le sappiano fare tenendo sempre presente il Vangelo. C’è bisogno di dare una svolta alla politica. E’ venuto meno il senso vero della politica come servizio al bene comune. A volte è solo una lotta per mantenere il proprio posto di potere».

Qual è il “polso” della Diocesi monrealese alla luce degli ultimi avvicendamenti all’interno di diverse parrocchie?
«Alcuni sono stati effettuati per a motivi anagrafici. Qui poi c’è stato un fenomeno: quello delle lunghe permanenze di diversi decenni. E quando si rimane per molto tempo si può essere condizionati dalle famiglie, perfino sul piano politico. Va poi considerata la diminuzione considerevole dei sacerdoti e di contro una pastorale che ancora rimane legata a forme di culto che esigono molta dedizione da parte del sacerdote, con scarso respiro evangelizzante. Così facendo, non si raggiungono i “lontani”, ci si impegna a superalimentare i “vicini”. In poche parole: meno processioni o meno novene e più tempo e più spazio per evangelizzare, realizzando iniziative per coinvolgere anche gli altri. Devo poi rilevare che c’è quel “cortilaccio” che soffia sui difetti piuttosto che sui pregi. Per questo c’è bisogno di una grande opera di bonifica, io la chiamo così. Dobbiamo pensare ad una conversione della nostra pastorale. Fatta di disinteresse e di trasparenza. Dovrebbe essere nostro primo impegno quello che nessuno debba poter mettere una spilla sulla persona. Certo, ci sarà sempre chi la metterà, lo hanno fatto pure con Cristo, però, dobbiamo avere questo compito. Non dare adito ad altri di pensare chissà che cosa».

A chi va l’augurio speciale per questo Natale?
«Il Natale è un annuncio di pace per tutti gli uomini di buona volontà. Abbiamo bisogno di pace, che deve essere il primo bene e - come ha detto Sua Santità Benedetto XVI - tutti sono responsabili di tutti. La pace, quindi, dipende un pochino da ciascuno di noi. Gli auguri per questo Natale non siano parole vuote, ma nella luminosità della povertà del Presepe, portino conforto a quelli che lavorano, a quelli che non lavorano o perché sono in attesa di occupazione, o perché l’hanno persa. Un augurio agli anziani, alle persone sole, alle famiglie disgregate, agli emigrati che hanno lasciato la nostra terra per motivi di lavoro, ma che sempre hanno nel cuore la loro Patria. Un augurio ai carcerati e alle loro famiglie. Devono certamente riparare alle ingiustizia commesse, ma la nostra preghiera vada anche a loro , perché abbiano occasione di ravvedersi. Ed un augurio, infine, per un futuro pieno di speranza».