La croce, un messaggio trionfale di vita

Il testo integrale dell'omelia odierna di monsignor Pennisi

MONREALE, 7 maggio - In quest’anno santo della misericordia il simulacro del SS. Crocifisso dopo essere stato venerato in questa cattedrale d’oro, nell’abside dove domina il Cristo Pantocratore con il suo sguardo benedicente, verrà portato ancora una volta in processione assieme alla statua della Madonna del Popolo per poi ritornare nel santuario dove è custodito e venerato.

Questo evento si ripete in occasione degli anni santi ordinari e straordinari a partire da quello del 1625 per volontà dell’arcivescovo Girolamo Venero.
Il SS Crocifisso negli ultimi cento anni è stato portato nella nostra cattedrale nell’Anno Santo straordinario della Redenzione del 1933, indetto da papa Pio XI; nell’’Anno Santo ordinario del 1950, indetto da papa Pio XII, nell’Anno Santo del 1975, indetto da papa Paolo VI, nell’Anno Santo straordinario della Redenzione del 1983 e nel Grande Giubileo dell’Anno 2000 indetti da san Giovanni Paolo II.

E’ molto significativo che questa celebrazione eucaristica avvenga la vigilia della solennità dell’Ascensione al cielo del Signore. Nello splendore della Risurrezione e dell’Ascensione di Cristo, la Croce, invece di gettare un'ombra sulla luminosità della sua gloria, fa risaltare di nuovo splendore la magnificenza del suo trionfo.
Dio regna dalla Croce con il suo amore. La croce non può essere un annunzio triste di sofferenza e di morte; è, al contrario, un messaggio trionfale di vita. Per questo possiamo proclamare: “Salve, o Croce, unica nostra speranza”.
Dalla Croce gloriosa di Gesù capiamo che la vera storia, è dominata da Cristo non con la violenza né con la paura, ma con l’amore.
Nella solennità dell'ascensione celebriamo non solo l'esaltazione dell'umanità di Cristo, ma anche l'inizio della sua nuova presenza e l'esaltazione della nostra fragile umanità.

Con la vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte la nostra vicenda umana è guidata, sostenuta, orientata verso la meta finale, anche se le forze del male continuano a sferrare i loro attacchi, a scatenare il loro odio, a seminare guerre e discordie, scandali e miserie.
Gesù, che dopo la sua risurrezione si è mostrato visibilmente ai suoi discepoli come il Signore che è identico al Crocifisso, conclude il suo esodo pasquale ed entra - come ci ha detto la lettera agli Ebrei- nel santuario della nuova Gerusalemme dove come sommo ed eterno sacerdote intercede per noi e apre un varco che ci permette di accedere in modo sicuro e definitivo alla comunione con Dio.
Sia nel Vangelo di Luca che nel racconto degli Atti il mistero dell'ascensione viene evocato con poche parole, che esprimono il distacco che sottrae Gesù allo sguardo dei discepoli stupefatti, e l’inizio di una sua nuova dimensione segnata dalla sua glorificazione.

Scompare davanti agli occhi dei discepoli la figura visibile di Gesù che pone fine alla sua missione terrena per aprire loro uno spazio ampio quando il mondo e una prospettiva di futuro indefinito, aperto all'attività missionaria della Chiesa.
L'ascensione non segna la scomparsa di Gesù verso un "altro mondo" sconosciuto, ma inaugura una nuova forma di presenza più profonda e diffusa di Cristo nel mondo e nella storia.
Noi dobbiamo cercare Gesù con gli occhi di carne attraverso gli avvenimenti della vita, nel volto del nostro prossimo e nelle piaghe doloranti dei nostri fratelli e sorelle; ma soprattutto dobbiamo cercarlo con gli occhi della fede per mezzo della preghiera , della meditazione della Parola di Dio, dell'Eucaristia, del sacramento della riconciliazione, della filiale devozione alla Madonna.

Il tempo della Chiesa dall'ascensione alla venuta finale di Cristo non è il tempo nè della nostalgia del passato, nè della tristezza per la partenza di Cristo, nè dell'angoscia per l'incertezza del futuro, nè dell'evasione verso la ricerca di altri mondi, né del sogno di una Chiesa ideale, ne dell'utopia di una nuova società, ma il tempo dell'attesa del compimento caratterizzato dalla gioia per una presenza nuova di Cristo.

Contemplare Gesù asceso in cielo non significa dimenticare la terra con i suoi problemi e i suoi drammi.
Come dalla Passione, Morte e Sepoltura di Gesù, si è passato alla trionfale e salvifica Resurrezione, anche Maria SS, cooperatrice nella Redenzione, ha gioito di questa immensa consolazione e quindi maggiormente è la più adatta ad indicarci la via della salvezza e della gioia, attraversando il crogiolo della sofferenza in tutte le sue espressioni, della quale comunque non potremo liberarci perché retaggio del peccato originale.

Tutti coloro che soffrono nella propria carne e nel proprio animo, le pene derivanti da malattie, disabilità, ingiustizia, povertà, persecuzione, violenza fisica e mentale, perdita di persone care, tradimenti, mancanza di sicurezza, solitudine, guardano a Maria, consolatrice di tutti i dolori; perché avendo sofferto tanto già prima della Passione di Cristo, può essere il faro a cui guardare nel sopportare le nostre sofferenze ed essere comprensivi di quelle dei nostri fratelli, compagni di viaggio in questo nostro pellegrinaggio terreno.
Non possiamo stare inerti a guardare il cielo e a sognare una realtà evanescente, ma siamo chiamati ad eseguire, sotto l'influsso della potenza Spirito, il compito di testimoniare l'esperienza del nostro incontro personale con Cristo a tutti e in modo particolare agli altri i che stanno sulla soglia della chiesa o sono rimasti per la strada per invitarli a fare esperienza della presenza di Gesù Risorto nella comunità cristiana.

La nuova presenza di Cristo, che ci rivela il Padre ricco di misericordia, per intercessione della Beata Vergine Maria che invochiamo col titolo di Madonna del Popolo, ci renda persone nuove, piene di una fede viva, di una speranza salda e di una carità operosa, capaci di essere operatori di pace, costruttori della civiltà dell'amore educatori delle nuove generazioni a trovare un senso pieno della loro vita nell'incontro con Gesù Cristo.