Il silenzio e l'indifferenza fanno crescere la mafia

Monito dell'arcivecovo di Monreale nel giorno del ricordo di Peppino Impastato

CINISI, 9 maggio - Del rischio "indifferenza" determinato dal silenzio e di come invece sia necessario un impegno educativo e pastorale anche da parte della Chiesa ha parlato oggi monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, nel corso della manifestazione "La chiesa e la resistenza alla mafia".

L'iniziativa si è tenuta stamattina a Cinisi, in occasione del 37° anniversario dell'omicidio di Peppino Impastato, alla quale il presule ha partecipato. "La memoria del martirio di don Puglisi - ha detto Pennisi - come quella di altri sacerdoti uccisi dalla mafia nel primo ventennio del secolo scorso( don Filippo Forti ucciso a San Cataldo nel 1910, don Giorgio Gennaro ucciso nel 1916 a Ciaculli,don Costantino Stella parroco di Resuttana ucciso nel 1919, Don Stefano Caronia arciprete di Gibellina ucciso nel 1920 e Don Gaetano Millunzi di Monreale ucciso il 13 settembre 1920), è impegnativa per la Chiesa siciliana e per la Chiesa tutta.

Il loro"martirio" non va disgiunto e isolato da quello di numerosi altri uomini rappresentanti delle istituzioni tra cui magistrati, appartenenti alle forze dell'ordine, giornalisti, persone comune che sono state definiti “martiri per la giustizia”da Pio la Torre a Rocco Chinnici, da Alberto della Chiesa a Boris Giuliano, da Piersanti Mattarella a Mario Francese, da Cesare Terranova a Pietro Scaglione, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino, da Placido Rizzotto a Peppino Impastato.

E' compito della Chiesa - ha aggiunto l'arcivescovo di Monreale - sia aiutare a prendere consapevolezza che tutti, anche i cristiani, possono rischiare con il silenzio e l’indifferenza di alimentare l' humus dove alligna e facilmente cresce la mafia, sia indurre al superamento dell'attuale situazione attraverso la conversione al Vangelo, capace di creare una cultura antimafia fondata sulla consapevolezza che il bene comune è frutto dell'apporto responsabile di tutti e di ciascuno.

La lotta alla mafia passa, anche se non si esaurisce, attraverso un rinnovato impegno educativo e pastorale che porti ad un cambiamento della mentalità e dei comportamenti concreti, ad una profonda "conversione" personale e comunitaria.
La Chiesa - ha detto ancora Pennisi - sente di avere una sua responsabilità per la formazione di una diffusa coscienza civile di rifiuto del costume e della mentalità mafiosi e si impegna nell'opera educativa e formativa dei suoi fedeli e, più in generale, di quanti, anche non credenti, vengono a contatto con le strutture educative da essa condotte o animate. Essa non si sente estranea all'impegno, che è di tutta la società siciliana, di liberazione dalla triste piaga della mafia.

Alla comunità cristiana - ha concluso il presule - si richiedono dei gesti originali che interpellino cattolici e laici ad interrogarsi sulle modalità di una prevenzione dei reati collegati col fenomeno mafioso impegnandosi per la diffusione di una cultura della legalità e all’educazione a concepire il potere come servizio al bene comune e ad un uso morigerato del denaro che non ne faccia l’idolo a cui sacrificare tutto".