A due anni e mezzo di distanza e di necessario "distanziamento", si ripete per me il miracolo della "lanterna magica". Uscita da una sala cinematografica con occhi e cuore immersi nella trasposizione del romanzo di formazione di Louise May Alcott "Piccole donne", vi rientro, finalmente, per scandagliare le molteplici possibilità narrative di un romanzo giallo straordinario quale "Poirot sul Nilo", più noto come "Assassinio sul Nilo", di Agatha Christie.
Torno in sala con l'entusiasmo fanciullo di una vera appassionata. Il cinema è "esperienza" che divora e assorbe. Per questa e molteplici altre ragioni, ripongo nella visione del film in questione molte aspettative, che, per buona sorte, non restano deluse.
La trama è nota al grande pubblico grazie al successo del romanzo, ma anche per le numerose trasposizioni già realizzate: a bordo del Karnak, un elegante battello a vapore, che solca il Nilo, la luna di miele di una ricca ereditiera e di uno squattrinato seduttore, circondati dagli "amici" più cari, si trasforma in una catena di assassini, in un crescendo di pathos e azione.
"Assassinio sul Nilo", diretto dal genio artistico di Kenneth Branagh, che è anche interprete magistrale del ruolo del detective Hercule Poirot, è una narrazione che si presenta, con veste elegante, patinata e sontuosa, all'intelligenza investigativa dello spettatore, non trascurando di offrirgli una nuova e singolare chiave interpretativa dell'uomo Poirot, letto in una luce emotiva e sensibile, volano per una piena immedesimazione empatica.
Sebbene la storia sia sotto il profilo prettamente narratologico, quello che gli esperti definirebbero un "giallo d'azione", il film ruota attorno alla figura di Poirot, ne scandaglia i meandri dell'anima, ce ne mostra l'aspetto più intimo e umano. Fin dal prologo, ambientato prima in trincea, poi in un ospedale da campo durante la Prima guerra mondiale, Hercule è uomo, prima che investigatore, un uomo che affronta la temperie più insidiosa e travolgente per ciascun essere umano: la mancanza di un amore.
Tale sentimento è il fil rouge che lega tutti i personaggi sulla scena. "Assassinio sul Nilo" è la storia di un caso di molteplici omicidi e della loro risoluzione, ma è, prima di tutto, un'indagine psicologica su quanto di terribile ed insensato, ma anche di straordinario e meraviglioso si possa compiere per amore.
Vengono suonati tutti i tasti del "giallo", accompagnati dall'arrangiamento del "dramma". Dalla Christie a Shakespeare, di cui Branagh è da sempre acuto regista e interprete, il passo è breve.
Sotto il profilo puramente tecnico, non si può non sottolineare la bellezza della vivida fotografia di Haris Zambarloukos, che esalta i maestosi panorami desertici, puntellati dai monumenti più straordinari che l'uomo abbia mai realizzato, come le piramidi di Giza o il tempio di Abu Simbel. Non si può che restare ammaliati dalla scelta cromatica che alterna con sapiente maestria il bianco, quasi abbacinante, al rosso declinato in tutte le sue sfumature. Travolgente è poi la colonna sonora di Patrick Doyle, cui fanno da controcanto i numerosi pezzi blues, interpretati dal personaggio della cantante Salomè Ottorbourne, una straordinaria Sophie Okonedo, senza dubbio la più brava in scena.
Si ripete ancora una volta il miracolo della "lanterna magica" e per centoventisette lunghi minuti, non sono più qui e ora, ma sono in Egitto, a bordo del Karnak. Non svelerò con quale personaggio mi sia immedesimata. Ciascuno del resto non potrà che trovare il "suo" e compiere idealmente insieme ad esso un avventuroso viaggio sul Nilo.