L'amica geniale, una vicenda immersiva

Ieri è andata in onda in prima serata su Raiuno la seconda puntata della terza stagione

Già dal breve passaggio, che ripropone i fatti salienti dei primi due episodi della terza stagione, "L'amica geniale" si configura quale un'esperienza immersiva.

Il racconto della vita di Elena Greco e Raffaella Cerullo, lungo sessant'anni, scaturito dall'abile penna di Elena Ferrante, giunge al terzo "capitolo" della tetralogia, portato in scena dalla regia di Daniele Lucchetti. Lenú si è allontanata da Napoli e, dopo la laurea in Lettere, è diventata una scrittrice affermata e sta per sposarsi. Lila, invece, è rimasta nel rione che le ha viste bambine, si è sposata, accondiscendente alla consuetudine sociale, ma ha avuto un figlio fuori dal matrimonio, si è dunque separata dal marito e lavora come operaia in fabbrica, costretta a turni massacranti e rapporti umani umilianti. Da qui riparte il racconto.

Solo apparentemente sullo sfondo di "Storia di chi fugge e di chi resta", sono tratteggiate con chirurgica "sincerità", spesso amara e cruda, le turbolenze sociali degli anni '70, le contestazioni studentesche, le lotte operaie, il faticoso percorso verso l'emancipazione femminile in campo professionale e sessuale, attraverso le vicende personali delle due protagoniste, attraverso il loro modo di affrontare la vita. Sono numerosi i punti di vista che si sovrappongono. La frase pronunciata da Elena, durante una conversazione telefonica con Lila: "Ognuno si racconta la vita come gli fa più comodo", diviene emblematica, è la più limpida chiave di lettura offerta allo spettatore.

, ogni episodio si offre quale occasione di confronto, soprattutto se la visione, come nel caso che mi riguarda, è condivisa con gli adolescenti di famiglia. Il dibattito, però, va rimandato al giorno successivo: il contenuto molto "forte" della vicenda va metabolizzato, lasciato sedimentare, prima di essere commentato.
"L'amica geniale" richiede attenzione e silenzio, non soltanto per riguardo ai temi: italiano e dialetto napoletano, alternati in modo sapiente, impongono una vera e propria dedizione al dialogo, che si caratterizza quale elemento portante del racconto. Una fotografia bellissima, che "tinge" ogni scena di un'infinita tavolozza di sfumature di grigio e azzurro, coccola gli occhi e addolcisce la durezza delle vicende raccontate.

La pacatezza della voce di Alba Rohrwacher che sottolinea, per contrasto, i momenti di maggiore drammaticità e tensione e una colonna sonora ora dolce ora martellante, ma sempre ricca di pathos, compiono il resto di quel miracolo narrativo che incolla il telespettatore allo schermo per più di due ore.
Gli inevitabili passaggi pubblicitari sono, purtroppo, ferite inferte alla continuità del racconto, ma sono uno scotto che si tollera, se si considera l'eccezionalità di una proposta così "alta" per il pubblico della tv generalista. Le ore, così, si inseguono veloci e, quando scorrono i titoli di coda, inizia una fibrillante attesa fino al prossimo episodio.