Noi ''ragazzi di ieri'' che aspettavamo Sanremo

Se fossimo ancora negli anni ‘80 o ‘90, poco più che bambina, avrei ripetutamente chiesto alla proprietaria dell'edicola vicino casa di mettere da parte per me un numero della rivista "TV, sorrisi e canzoni".

Sarei passata spesso, troppo spesso forse secondo la poveretta, a chiederle insistenti notizie dell'avvenuta consegna. Proverei un fremito soltanto al pensiero di stringere tra le mani il prezioso inserto interno, dedicato al Festival di Sanremo.
Due settimane prima dell'evento canoro venivano diffusi i testi delle canzoni delle "nuove proposte" e, a sette giorni dall'inizio, quelli dei "big". Così, giungevo alla diretta della prima serata con quei fogli stropicciati tra le mani e nella mente, parole senza musica, mandate a memoria, come versi di una poesia.

Fin da allora, inconsapevole del futuro da filologa cui ero destinata, le parole suscitavano in me un potere affabulatorio. Le centellinavo, le gustavo, leggendole e rileggendole, attenta a rime, assonanze, ripetizioni. Cercavo di comprenderne il significato e mi preparavo all'ascolto della melodia con una personale classifica di stampo "letterario".
Quel rituale a cadenza periodica ed annuale mi accomunava ai compagni di classe delle scuole elementari prima e medie poi. Trascorrevamo due settimane di trepidante fibrillazione, impegnati in dibattiti sulla bellezza di ipotetiche canzoni e sulla bravura dei nostri beniamini. Era l'argomento principe durante la ricreazione e, talvolta, finivamo addirittura per litigare, difendendo pronostici di vittoria e valore artistico degli illustri personaggi del panorama musicale in gara.

Le nuove proposte, poi, erano un mistero tutto da svelare: da lì sarebbero giunti alla gloria molti dei cantanti che avrebbero accompagnato la nostra adolescenza, raccontando sogni, paure e primi amori di un'intera generazione. Eravamo "Ragazzi di oggi", il futuro era una "Terra promessa" e la musica inno di emancipazione da quel mondo fanciullo che iniziava a starci stretto.
Arrivavano poi le serate di gara e la deroga all'orario, limite invalicabile per il sonno, era un piccolo atto di ribellione alle regole della consuetudine. Erano giorni dedicati interamente alla musica. La radio accesa durante il pomeriggio restituiva all'ascolto i brani già presentati al pubblico. Pazienti aspettavamo che "passassero" la canzone preferita, con il dito atrofizzato per lunga permanenza immobile sul tasto "REC" del mangianastri, gravido della musicassetta nuova acquistata per l'occasione.
Conclusosi l'evento, sia che le nostre attese fossero state attese o disilluse, le pagine logore della rivista, stinte dalla palpazione degli avidi polpastrelli si sarebbero trasformate in ritagli da incollare tra le pagine del diario. Stesso destino avrebbero subito le foto dei volti dei cantanti, mutati in "santini" accanto cui scrivere, con gli sgargianti colori dei pennarelli Uniposca, motti, nomi e maliziosi e al tempo stesso innocenti "I love you".

Non era ancora il tempo del "calderone" di Internet, non era ancora il tempo in cui una digitazione sul motore di ricerca di Google e un clic avrebbero saziato ogni curiosità, in un solo attimo "cotto e già mangiato". Era il tempo dell'attesa: aspettavamo una rivista, aspettavamo una canzone, aspettavamo di crescere.
Oggi, adulta, "social e digitale", continuo a manifestare un deciso interesse per il Festival di Sanremo. Lo soddisfo con accurate ricerche on line, prima, durante e dopo la messa in onda, e non ho più bisogno di mettere a dura prova la pazienza della proprietaria dell'edicola vicino casa, sempre lì, come assoluta certezza nel trascorrere del tempo.

Il Festival della canzone italiana, con alti e bassi, dovuti al diverso valore assunto negli anni dalla manifestazione, surclassato ormai dai talent, nuova "fucina della musica italiana", continua ad avere un discreto successo di pubblico, resta in qualche modo un rito annuale, ma io non riesco a non rimpiangere quei giorni di attesa di un inserto di un giornale e quell'esercizio di memoria dei testi, come attore che si prepara ad un debutto teatrale. Era un'abitudine infantile, romantica con ogni probabilità, ma decisamente e intensamente poetica.