Il prossimo Presidente della Repubblica? Tizio, Caio oppure… una donna

Mi rammarico del fatto che non sia ancora giunto il momento storico in cui in un titolo di giornale si possa scrivere "Nel toto-nomi: Tizio, Caio e Cornelia"

Non mi sono mai posta il problema del genere grammaticale nei titoli professionali. Non la considero una "battaglia" da combattere. D'altro canto, non critico chi lo faccia. Me ne guardo bene. È soltanto un punto di vista: la prospettiva da cui in modo soggettivo ed opinabile osservo il mondo ed in esso mi muovo.

Se si tratta di un termine di attribuzione di ruolo o di funzione professionale, il genere maschile, che non presenti un corrispettivo femminile, mi appare soltanto una convenzione grammaticale e sociale, che non ha alcun legame o attinenza con il sesso. Dipenderà forse dal fatto che ho sempre dato più importanza a ciò che anima la mente piuttosto che agli attributi con i quali si viene al mondo. Talvolta, addirittura, mi firmo con naturalezza ed istinto "il coordinatore" alla fine di un verbale, perché non credo che sia un aspetto determinante che io sia maschio o femmina. Sono un "essere umano". Ecco, anche in questo caso si adopera il maschile, ma un essere è un essere e che la parola sia una a definire tutti i generi, e sottolineo "tutti", non mi appare discriminante, semmai inclusivo.
Tuttavia, non tollero essere definita "femmina", qualora il contesto non richieda una distinzione prettamente basata sul genere sessuale, determinata dal patrimonio genetico presente nel DNA.

Ne sanno qualcosa i miei poveri allievi che seguo nell'esercizio di traduzione dal latino. "Donna, professoressa! Qui traduco 'donna', altrimenti mi ammazza!“ mi ha detto L. (geneticamente maschio) giusto qualche giorno fa, sollevando dal foglio uno sguardo complice e manifestando subliminalmente comunanza di idee. È una questione di contesto e coerenza testuale, ma soprattutto di collocazione delle "cose" o dei "concetti" nello spazio dell'immaginario personale e collettivo. Le parole pesano, ma non hanno sempre lo stesso peso. Si fa grave o leggero in rapporto alle circostanze e siamo noi ad attribuirglielo.

Così, in questi giorni che corrono veloci verso le elezioni presidenziali, è stata paradossalmente proprio la parola "donna" a farmi sobbalzare. Si fanno ipotesi, si tracciano profili. "Tizio, Caio, Sempronio" titolano alcuni giornali, "Oppure una donna".
Quanto pesa, in questo caso, la parola "donna", altrove così lieve! Si associano nomi propri di persona, indice di storie personali, carriere istituzionali, indirizzi politici, ad un generico nome comune di persona femminile: "donna".
Nell'uso di una parola, lo specchio di una società. "Donna" come categoria. Nessuna ricerca di storie, carriere, indirizzi politici. "Una donna", una qualunque. Mi rammarico del fatto che non sia ancora giunto il momento storico in cui in un titolo di giornale si possa scrivere "Nel toto-nomi: Tizio, Caio e Cornelia".

Continuo a non fare battaglie di parole e sulle parole. Rifletto, metabolizzo, colloco nel mio immaginario personale "significati" e "significanti" e sento tutta la responsabilità educativa che la mia professione comporta. Insegno parole, del resto, e attraverso le parole aiuto i miei allievi a "costruire mondi".
Fortunatamente, sono il frutto di un'educazione abbastanza liberale e svolgo i miei ruoli di professionista e madre, per scelta e convincimento personale, non per adesione oppure opposizione ad una esigenza genetica. Per troppe donne (termine adesso tornato lieve) non è così.
I tempi non sono ancora maturi e non avremo, molto probabilmente, un Presidente della Repubblica che sia prioritariamente una storia, una carriera e poi anche una donna. Temo che non ci sarà spazio per alcuna Cornelia fino ai prossimi sette anni.
Pertanto, sebbene non sia interessata a "fare battaglie di parole", credo che dovrò spenderne ancora tante e di più in classe, perché tra i miei alunni, magari, un giorno, tra sette anni, ci siano Tizio, Caio, Sempronio e finalmente anche Cornelia.