Dalla mia penultima piece teatrale: ''Contrera ed Otello''

Questa notte uggiosa del 15 Maggio del 1997, è una notte da trascorrere giocando a tresette nel mese della Madonna, o in alternativa scendere nella piazza Guglielmo della mia Monreale e fare dei ritocchi sulla fronte di questa benedetta città dei balocchi.

Una città dove soltanto gli allocchi si autocertificheranno un sorriso sardonico, tramite selfie notturno, sospeso tra ironia ed interrogativi bestiali sul futuro che irrompe mafioso come il nostro maledetto tempo quotidiano. La mia Monreale non è città di divi o personaggi famosi, è solo una città che vive all’ombra di grandi miti (Federico II°) e chiaroscuri inquietanti. La Politica, per il 90% dei suoi frequentatori, è solo un mestiere, come tanti. Ciascuno di questi piccoli nani, continua a rimirare l’angolo ottuso di un sedere ideologico inesistente e si consola arraffando quello che può e spesso niente.

Antonio Veneziano, il massimo Vate della nostra città ed il più grande poeta della seconda metà del 500 siciliano, ci osserva e ci sfotte tutti i santi giorni, esclamando: “Questi Monrealesi sono tutti emeriti qua-qua-qua! S’incazzano paventando una grande rivoluzione e vanno di corsa a confessare il loro peccato di pensiero, al Prete di Guardia nel buio del confessionale e tutto finisce ad libitum con una penitenza di 150 Padre Nostro e 200 Atti di dolore che mandano in fumo la voglia bellicosa di rivoluzione; non appena riapriranno le chiese monrealesi, invierò il mio Contrera a confessarsi con chi so io, ovvero, il prete filosofo più gettonato a Monreale, e dirà, fingendo il pianto: Caro padre spirituale, ho peccato gravemente in pensieri, parole ed opere liriche; ho fatto l’amore con la fichissima Desdemona in Otello, un’opera lirica travolgente scritta da William Shakespeare e musicata da due grandi, ovvero, Rossini et post Giuseppe Verdi.

Carissimo Padre confessore, ho dovuto abbandonare Desdemona sul più bello del piacere sessuale, per colpa di quel geloso di Otello, nero come la pece e geloso cretino per quello che mi fece! Padre, Padre, il mio treno era già alla stazione centrale e quel cornuto di moro veneziano mi picchiava forte sulla testa con la stecca del suo freno a mano. Più io gridavo perché mi faceva male e più quel becco mi picchiava sulla testa, usando anche il suo maledetto orinale di ceramica veneziana.
COPYRIGHT©BY SALVINO CAPUTO