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L’edizione drammatica del festival di Sanremo del 1967, quando Luigi Tenco si suicidò

Ieri notte, giovedì 4 marzo, ho seguito la terza serata del Festival di Sanremo come mera abitudine routinaria degli ultimi 40 anni della mia vita di scrittore di favole e cantautore.

Amo da ragazzino la musica e la narrativa ed i battiti della mia giornata ideativa e creativa, sono e saranno sempre scanditi da queste due donne fatali. Quando scrivo canto e quando canto scrivo, non è un aforisma ma è la verità genuina della mia vita meravigliosa, unica e irripetibile, stracolma di amarezze, dolori e lacrime e felicità effimere, ma corroboranti. Non mi sono mai posto l’interrogativo banale sull’essere compreso dagli altri! Se avessi partecipato a Sanremo con una mia canzone e mi avessero bocciato solennemente in prima esibizione, sarei uscito dal Teatro Ariston senza delusione ed avrei raggiunto il primo ristorante di profilo, per abbuffarmi di pesce e di buon vino.

Odio il vizio assurdo di Don Ignazio di Loyola, che amava suonare la viola da gamba, strumento musicale a corde pizzicate ed era un ballerino eccezionale in gioventù. Don Ignazio, quando pensava alle cose del mondo, provava molto piacere e paura perché amava l’allegria, ma lo terrorizzava il pensiero di recarsi scalzo a Gerusalemme e mangiare solo erbe. Quando il giovane Don Ignazio, nel prosieguo della sua vita cominciò a praticare l’ascetismo, s’indebolì nel fisico e nello spirito, a tal punto da desiderare il suicidio. Luigi Tenco, il più grande cantautore, poeta, compositore e polistrumentista italiano, è stato l’esponente di spicco della Scuola Genovese, insieme a Fabrizio De André, Bruno Lauzi, Umberto Bindi ed i fratelli Reverberi, a partire dagli anni sessanta. Tenco, a mio parere, sarebbe stato un modello ideale di filosofo alla Sartre. Salvatore Quasimodo, ex Premio Nobel per la Letteratura scrisse di Tenco: Luigi, con la sua musica e voce mirabile, vuole colpire a sangue il sonno mentale dell’Italiano medio, ormai dormiente rispetto al cambiamento della critica sociale ai dogmi ed alle vecchie tradizioni di una società bollita e stracotta.

Tenco amava considerarsi un gatto con sette vite, dichiarazione fatta a Giorgio Gaber in una trasmissione televisiva, dove il candido Luigi interpretò la sua canzone preferita, ovvero “Tu non hai capito niente”, una canzone che sarà la colonna sonora del nostro. Quando Tenco partecipò al Festival di Sanremo nell’edizione del 1967 con la sua mitica canzone “Ciao Amore Ciao”, voleva sensibilizzare il pubblico e gli Italiani sul tema delicato dell’emigrazione forzata da un sistema politico proiettato ed affaccendato in altre dimensioni. Bocciato a Sanremo, nella prima esibizione, Tenco preferì suicidarsi in una stanza d’albergo.
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