Una conquista storica per la dignità delle donne, che introdusse i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione
Nel 1965 Pier Paolo Pasolini gira il famoso docufilm intitolato “Comizi d’amore”, che affronta temi come la sessualità e la prostituzione. Tra gli intervistati non sono pochi gli uomini italiani che protestano animatamente contro la legge Merlin, una norma dello Stato che ha reso illegale la prostituzione e introdotto i reati di favoreggiamento e sfruttamento della stessa.
Tutto inizia nel 1948: Angela Merlin, detta Lina, è una deputata socialista ed ex partigiana, una delle madri della nostra Costituzione. Laureata in lingue e letterature, grazie alla sua professione di insegnante e alla militanza politica ha una visione chiara e limpida della condizione femminile nel nostro Paese. A causa dei provvedimenti mussoliniani che hanno caratterizzato tutto il ventennio fascista, volti a contrastare l’istruzione femminile, la maggior parte delle donne è analfabeta, priva di titoli di studio e per nulla emancipata: condizioni determinanti per diventare preda di lenocinio.
È il 20 febbraio del 1958 quando la legge n.75 sulla “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui” viene approvata in Parlamento. Entrerà in vigore solo dal 20 settembre dello stesso anno, ma già alla vigilia della sua approvazione porterà alla chiusura di 560 “case di tolleranza” in cui si trovavano circa 3 mila donne.
Lina Merlin aveva affrontato ogni conseguenza della sua tenacia femminista: innumerevoli le minacce di morte ricevute, estremamente attuale la norma di cui è stata prima firmataria. La legge non vieta alle persone maggiorenni di offrire prestazioni sessuali in cambio di denaro, ma certamente riesce, a distanza di 63 anni, a far emergere l’enorme piaga rappresentata dalla tratta delle donne fatte prostituire.
La prostituzione ha infatti, ad oggi, un volto pressoché unico: secondo le statistiche sulla tratta degli esseri umani svolta nel 2018 dalla Direzione generale di statistica del Ministero della Giustizia, “la vittima tipica dello sfruttamento corrisponde al profilo di un/una giovane, di età media di 25 anni, nel 75,2% dei casi è di sesso femminile, di nazionalità estera, principalmente rumena (51,6%) e nigeriana (19%), in alcuni casi sposata (13,6%) o con figli (22,3%)”.
La legalizzazione non migliora affatto le condizioni di vita delle donne prostituite: nella maggior parte dei casi sono trafficate e versano in situazioni socio-economiche disastrose, nonché insostenibili da un punto di vista psicologico ed emotivo. La prostituzione è attualmente legale in Stati come Germania, Paesi Bassi, Austria, Svizzera, Nuova Zelanda. Un giro economico da decine di miliardi, che continua ad arricchire solo ed esclusivamente gli uomini responsabili dello sfruttamento. Gli italiani, tra l’altro, sono primi al mondo per turismo sessuale e clienti assidui delle “case del piacere” d’Oltralpe, come spiegato ampiamente nel libro-inchiesta del giornalista Riccardo Iacona intitolato “Utilizzatori finali”.
Le associazioni di volontariato, le femministe radicali e tutte le persone che lavorano quotidianamente per migliorare la condizione delle donne e per supportare le vittime di tratta auspicano anche per l’Italia l’adozione del cosiddetto “modello nordico” già vigente in Svezia, che punisce gli acquirenti e non le donne prostituite, un modello che reinserisce queste ultime nella società, liberandole dalle catene dello sfruttamento e seguendo un principio molto semplice: le donne sono esseri umani meritevoli di rispetto e aventi dignità, non oggetti in vendita.