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In questo mondo piccolo, dove i muri vanno giù al soffio di un’idea ''Gli altri siamo noi''

Il valore della solidarietà nei giorni del coronavirus

MONREALE, 1 aprile – In questi giorni di chiusura di quasi tutte le attività e con l’obbligo di rimanere a casa per fronteggiare l’emergenza di una pandemia di portata mondiale, ognuno di noi trova il tempo di dedicarsi a riflessioni, di rispolverare vecchie passioni, riprendere con spirito di attesa attività lasciate sospese.

Anch’io tra preoccupazioni per ciò che sta accadendo, guardando a un futuro dai tratti incerti, dedico il mio tempo a una pratica che mi ha sempre coinvolto e che ritengo tra le più istruttive e coinvolgenti, ovvero la lettura.

Qualche tempo fa un amico, intento a sbarazzarsi di alcuni libri per fare spazio tra gli scaffali, me ne omaggiò alcuni. Tra questi uno del 1921 edito da Tipografia Calogero Sciarrino di Palermo dal titolo “Sinite Parvulos” di Luisa e Maria Stella Tamburini. Venticinque brevissimi racconti per i più giovani, dove gli echi della sofferenza della I guerra mondiale sono il tema dominante, specchio di una società che stenta a riprendersi dagli orrori della guerra e timidamente tenta di tornare alla normalità.

Tra le tante storie raccontate ce n’è una che mi sembra di grande attualità: “Pensa a chi soffre” questo il titolo, che vorrei condividere e che auspico diventi motivo di riflessione:
“La pioggia cadeva giù lenta e fitta da tre giorni e non accennava a smettere.
Dietro i vetri della finestra Anna guardava con rincrescimento: non ne poteva più! In questi giorni di vacanza, destinati al divertimento e alle passeggiate, era costretta a starsene a casa, ad annoiarsi terribilmente.
Una graziosa automobile passò in quel punto, sfiorando la strada fradicia di pioggia.
Anna, nel vederla, esclamò con ira: - Beati i ricchi! Solo a me non è concesso potermi divertire! Se possedessi anch’io una bella automobile a quest’ora sarei fuori a godere un poco! Sono proprio disgraziata!... – Tu disgraziata? – interruppe la mamma.
Che cosa diresti allora se fossi nel numero di quegli infelici che non hanno né stracci per coprirsi, né pane per isfamarsi, né tetto per ripararsi? Tu ti lamenti della pioggia perché non puoi divertirti, ma non pensi al numero infinito degli operai che lavorano all’aperto e che nei giorni tanto rigidi non possono lavorare e nelle loro famiglie alla miseria abituale, si unisce la fame? Tu ti lamenti della tua condizione e invidi i ricchi, tu che hai il babbo e la mamma che non ti lasciano mancar nulla. Figliuola mia; non lamentarti più! Ogni tua parola sia un inno di ringraziamento al Creatore che t’ha posto in una condizione agiata. E quando ti viene d’imprecare contro la sorte, volgi prima uno sguardo intorno e pensa a chi sta peggio di te. Pensa ai mendichi a cui tutto manca, pensa agli infelici giacenti negli ospedali: vecchi la cui vita è stata una lenta successione di dolori e miserie, ed ora distesi sul letto, quasi moribondi, senza che una persona amica li conforti; giovani abbattuti, sofferenti; fanciulli abbandonati nei piccoli lettini, senza che una persona cara addolcisca i loro dolori. Poveri piccini, che dovrebbero essere spensierati, lieti! Chi non sarebbe pronto a sacrificare qualcosa pur di trasformare in gioia la loro infanzia triste, pur di allontanarli da quel luogo di dolore e trasportarli in un luogo tranquillo pieno d’incanti e di luce?...
La mamma guardò la figliuola, nei suoi occhioni neri si leggeva ora una profonda commozione e mostravano chiaramente il pensiero che passava per la testolina della bambina: - Anch’io sarei pronta a sacrificare le passeggiate, i divertimenti e tanti altri agi pur di asciugare una lacrima, lenire un dolore!...”

In questo tempo sospeso, surreale, carico di forti preoccupazioni dove sembrano prevalere gli egoismi di chi si crede in una posizione migliore, bisogna più che mai guardare all’altro, alle comunità, a chi resta indietro, chi pagherà il prezzo più alto in termini economici e sociali.

Nessuno si salva da solo, il monito del Papa, e l’accorato ringraziamento rivolto ai volontari e alle associazioni di volontariato che si stanno spendendo per i più deboli; gli altri diventiamo noi sembra dire, trasformiamo noi negli altri, diventiamo gli altri, tutti. “Gli altri siamo noi” cantava Umberto Tozzi tanti anni fa, gridando a tutti, anche ai capi di governo più sordi e insensibili, che in questo mondo piccolo, dove i muri vanno giù al soffio di un’idea che, tanto prima o poi gli altri siamo noi.