Il duro lavoro allontana tre grandi mali: la noia, il vizio ed il bisogno

Volendo rispettare la scaletta del mio articolo odierno su Monreale News, plano a velocità massima con il mio paracadute di letterato sulla maledetta noia del mio carissimo amico Franco Califano e della sua mitica canzone “Tutto il resto è noia”.

Franco, il Califfo per eccellenza, non amò mai il duro lavoro perché preferiva una vita lussuriosa e fuori dalla routine; amava le belle donne, la musica e riuscì a diventare un grande e ricco cantautore di brani meravigliosi e popolarissimi. E’ scontatissimo che il califfo s’impegnò fin da giovane nel duro lavoro, che con il trascorrere del tempo gli regalò fama e popolarità. Alberto Moravia nel suo romanzo del 1960 “La Noia” scriveva: Soprattutto quando ero bambino, la noia assumeva forme del tutto oscure a me stesso e agli altri; ero incapace di spiegare l’angustiante sofferenza e mi rifugiavo tra le braccia di mia madre che mi consolava dicendo: Soltanto studiando ed imparando la dura legge della vita, non sarai più annoiato.

Alberto Moravia divenne un eccellente scrittore, giornalista, saggista, reporter di viaggio, critico cinematografico e grazie al suo durissimo lavoro non si annoiò mai più nella sua vita. Totò Matranga, amico mio superlativo, mi ripete sempre : “Professore, a nove anni cominciai a lavorare in maniera dura e costante perché la miseria e l’appetito si stendevano sui balconi di casa e si respingeva il fumo della disperazione con la stanga; ho 82 anni e non mi sono mai annoiato nella mia vita perché ho sempre lavorato. Oggi i ragazzi hanno troppi vizi, alimentati e pagati dalle famiglie, perché non vogliono più lavorare seriamente e pensare al futuro”.


Quando l’estremo bisogno quotidiano e la miseria nera t’incalzano, bisogna inventarsi il duro lavoro! Nel “Vizio Assurdo” dello scrittore Davide Lajolo viene sintetizzato e categorizzato il concetto esplicativo di vizio assurdo, ovvero la volontà di auto-annientamento dell’individuo a causa di delusioni, frustrazioni, mancanza di concentrazione, senso precario della vita. Vittima eccellente del maledetto vizio assurdo, malgrado la sua poliedrica attività di scrittore, critico letterario, fu Cesare Pavese vincitore del Premio Strega nel 1950 e considerato uno tra i più grandi scrittori del novecento italiano. Nella giornata del 27 agosto 1950, dopo avere scritto gli ultimi versi poetici “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” dedicati al suo grande amore Constance Dowling, l’ultima bellissima donna che lo aveva deluso, Cesare Pavese ingerì 10 buste di sonnifero e si suicidò in una camera d’albergo a Torino. Certamente ben altri sono i vizi collegati alla mancanza del duro lavoro! Ho citato Pavese per enucleare i vizi assurdi, anche in presenza di popolarità e duro lavoro. La nostra vita sarà sempre un’incognita in questo complicato viaggio di andata e ritorno.
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