Fabri Fibra è il rapper italiano che cerca di emulare Pietro Metastasio

I lettori meno esperti e dotti di letteratura italiana, certamente ignorano Pietro Metastasio, letterato, scrittore, avvocato, poeta, commediografo, drammaturgo, librettista e riformatore del melodramma italiano.

Romano di Roma e folgore dei castelli romani, il mitico Pietro ribattezzato Metastasio (Radice semantica di “Rivoluzione e Cambiamento”) rivoltò i calzini del nostro secolo diciottesimo. Certamente il nostro Pietro dei castelli romani, non ha adombrato il mio grande Voltaire, pseudonimo di Francois Marie Arouet. Senza esitazioni o partigianerie, Pietro è stato l’inventore e creatore della jam session, ovvero la tecnica rivoluzionaria dell’improvvisazione di poesie, rime, canzoni e liriche. Fin da dalla tenerissima età (5 anni) fino alla sua maturità artistica, Pietro si ritrovò in competizione con i più celebri improvvisatori d’Italia, devastandoli rovinosamente e devastando la sua salute fisica, per lo stress accumulato e il dispendio di energie fisiche e creative. Vincenzo Gravina, noto letterato, giurista insigne e mentore di Metastasio, ritenne opportuno traferirsi in Calabria, per restituire a Pietro relax e nuovo vigore fisico.

Dopo il soggiorno in Calabria, Pietro scalò il successo europeo, presso le città più prestigiose d’Europa; morì nel 1782 a 84 anni e fu sepolto nella cripta della chiesa di S. Michele a Vienna. Fabri Fibra, il più quotato rapper del terzo millennio, sta clamorosamente emulando il nostro Pietro Metastasio, per il suo vissuto giovanile d’improvvisatore e per la sua svolta radicale e riformatrice del “Rap Italiano”. Fibra si è letteralmente bevuto Caparezza, Clementino, Jovanotti e compagnia bella; ha venduto oltre 1 milione di copie certificate dei suoi dischi, guadagnando tanti dischi d’oro, di platino e multi-platino. A mio parere umilissimo, improvvisare è un’arte nobile in poesia, in musica, in teatro, soltanto quando il tuo soul ed il tuo background si sono saldati come leghe indistruttibili. Penso che preparare un concerto dal vivo o scrivere un racconto di narrativa, necessiti di seria concentrazione e maturità artistica. Improvvisare in Teatro si può, ma ci vogliono i Carmelo Bene e Vittorio Gassman! Mi diceva sempre il mio immenso maestro Leonardo Sciascia ad hoc: “Figlio mio, quando m’intervistano in televisione, le mie esternazioni non sono mai improvvisazioni casuali o impeti collerici finalizzati a caio o sempronio! Io esterno sempre la mia cultura dei valori e calibro il peso delle mie parole, perché le parole non sono un’astrazione, bensì cose; soltanto le parole dei populisti e dei sovranisti, scodinzolano la coda come gli asini ed i tacchini di Caropepe”.
Copyright ©by Salvino Caputo