Il boom dell'autoscatto: parte da Facebook ed arriva ad Hollywood

Dalla Spending Review al Selfie: facciamo un po' di chiarezza

MONREALE, 16 marzo - Che l'inglese ormai abbia soppiantato la lingua italiana in molti settori è un dato di fatto. Facile comprendere il perché, se si pensa all'introduzione di numerosi anglicismi nei linguaggi specifici della medicina o dell'economia.

Nessuno sembra più stupirsi nel sentire il termine spread al posto di "margine di interesse", o un vocabolo come corporation nel significato di "società" o di una parola come leasing per "locazione finanziaria". Anzi, i loro corrispondenti italiani a oggi spiazzerebbero un ipotetico lettore se fossero inseriti in un articolo di giornale al posto degli anglicismi ufficiali! Del resto, proprio come nella lingua d'uso, l'utilizzo delle parole inglesi sempre di più sembra sostituire quello delle parole proprie della lingua italiana. In una società dai ritmi sempre più veloci, sempre più finalizzati alla logica del massimo profitto nel minor tempo possibile, in un periodo nel quale tutti siamo schiavi del tempo che sembra non bastare mai, la lingua inglese concisa e soprattutto breve, sembra essere l'ideale per comunicare qualsiasi tipo di informazione.
E noi, siam fatti così: apprezziamo più l'erba del vicino che la nostra, adottando però non soltanto il meglio, purtroppo.

Tra le "buone prassi", o per dirla come tutti "best practies", infatti, anche il nuovo fenomeno del "Selfie": un'autoscatto di se stessi, destinato poi alla condivisione nel profilo di un social network come Instagram, Twitter o Facebook. Le origine vanno ricercate nell'avvento dei Social i quali, grazie a manine poco discrete, offrono a belli e brutti la possibilità di visionare le nostre vite quotidiane, fomentando oltre che la globalizzazione dei contatti, anche una sorta di enfatizzazione dell'IO. "Cumanna e vacci e vacci ca to facci" recita un detto siciliano... Peccato che il monito al senso di responsabilità, coraggio delle proprie azioni ed intraprendenza, passino ormai semplicemente attraverso un autoscatto realizzato col cellulare. Se così non fosse, probabilmente, il numero degli "amici" che molti utenti dei Social annoverano, esibendoli come "trofei" sui social, diminuirebbero notevolmente.

Non scopro certo l'acqua calda affermando che il concetto di "amicizia" nel mondo virtuale è completamente diverso da quello che si ha nel mondo reale. Nella vita reale l’amicizia tra due persone ha una dimensione di intimità, dimensione che si perde nel social networking portando l’amicizia ad essere una relazione pubblica e superficiale. Spesso diventiamo "amici" di persone che non conosciamo nemmeno, solo per aumentare il numero di contatti. In questo modo il rapporto non è mediato dal corpo, che è un punto di riferimento importante nel processo di apprendimento e comprensione delle emozioni, e quindi si rischia di cadere in un "analfabetismo emotivo" con effetti che possono anche influire sul comportamento. 

Ovviamente la moda ha contagiato il mondo dei vip, dai cantanti agli attori, passando per calciatori e veline; famosissimo oramai lo scatto durante la notte degli Oscar 2014 che tra gli altri ha immortalato la presentatrice Ellen DeGeneres, Bradley Cooper autore dello scatto con il telefono della stessa Ellen, Meryl Streep e Brad Pitt. Anche se è bene sapere le mere ragioni economiche di quell'autoscatto: la Samsung, infatti, per quell'occasione, ha investito - o meglio pagato - ben 20 milioni di euro per spot e Selfie!

"Non puoi insegnare nuovi trucchi ad un cane adulto" VS "You can't teach an old dog new tricks", eppure l'autoscatto batte altre abitudini legate alla rete e alla condivisione, andando a vincere nei confronti di twerking, binge-watch e showrooming, molossi mediatici ben più diffusi e noti. Autoscatti che in genere hanno più o meno tutti la stessa inquadratura: mezzo busto, una mano non si vede (perché regge lo smartphone), l'altra mostra il pollice in alto o, in alternativa, l'indice e il medio aperti ad imitare la lettera V, il viso, senza espressione, atteggiato ad un sorriso più o meno intelligente, o labbra prominenti a rappresentare una posa imbronciata o sensuale (soprattutto le ragazzine).

Quello che colpisce è che coloro che sono rappresentati sembrano voler comunicare tutti la stessa cosa: ti prego guardami! Ma a chi viene rivolta questa richiesta? Qui viene il bello: a nessuno in particolare. Queste "fotine" sono lanciate nel mare di Internet come pezzettini digitali di se stesso (selfie) da cui ci si può separare senza dolore fisico. Lanciate per espandere il più possibile la propria immagine, lanciate per stabilire un contatto, lanciate per finire in chissà quali mani (ed è proprio questo che fa passare un brivido per la schiena).

Non credo che questo abbia qualcosa a che vedere con il narcisismo. Se qualcuno ricorda il mito di Narciso, saprà che Narciso, divenuto giovinetto e ammirato da tutti per la sua eccezionale bellezza, un giorno passeggiando sulla riva di un ruscello, vedendo per la prima volta la sua immagine riflessa sull'acqua, rimase rapito a contemplarla. I selfie non si guardando, non soltanto, perché loro invece si lasciano guardare , offrendosi agli altri.

C'è in questa pratica qualcosa di disperato (o alieno?), c'è un richiamo spedito nella rete per cercare qualcuno, qualcosa con cui entrare in contatto. Sono soli i personaggi dei selfie, non vivono più nel mondo reale dove è possibile avere un amico, due amici, cinque amici?  Espressioni visive sulle quali dovremmo riflettere tutti!
Non varrebbe la pena parlarne se non fosse che oltre a riempire il web, di Selfie cominciano a parlarne quotidiani come La Repubblica, il Corriere della Sera, il New York Times e.....senza voler apparire irriverenti, anche MonrealeNews.

Tornando alle espressioni linguistiche, l'unica frontiera italiana rimasta invalicabile sembrava quella del linguaggio giuridico. Il "formante" legislativo sembrava infatti il più restio all'accettazione di forestierismi e l'unico settore tra i linguaggi specialistici della nostra lingua ancora ben ancorato all'uso dell' italiano e a quello delle sue origini, il latino. Eppure, anche quest'ultimo baluardo sembra a rischio. Alcuni esempi? La denominazione inglese dei nuovi contratti di lavoro job on call e job sharing, il concetto di soft law, class action, trust e antitrust, il reato di stalking, la proposta della Web Tax e ora anche il Jobs Act... È vero che l'italiano è una lingua complessa, costituita da parole più lunghe e pesanti rispetto a quelle inglesi e sicuramente meno agevoli ed efficaci ma, bisognerebbe che ogni tanto ricordassimo tutti che, oltre che essere la nostra lingua - scusate se è poco - è una lingua assai corretta!

Del resto la nostra non è mai stata una lingua nata in un'ottica pragmatica e utilitaristica. Tant'è vero che i tentativi post-unitari volti alla creazione di un italiano comune, partirono proprio dal fiorentino parlato dalla ricca borghesia, che riponeva le sue radici nella lingua della poesia e della prosa rispettivamente del Petrarca e del Boccaccio. Quindi è chiaro che i termini italiani, nati da un'esigenza puramente letteraria, siano meno puntuali, istantanei e funzionali di quelli inglese.
E' indubbio, tuttavia, che manchi uno sforzo di adeguare la terminologia italiana alla pressione della comunicazione internazionale. La lingua è un prodotto umano e soggetto ai cambiamenti, come in tutte le situazioni però bisogna sforzarsi di rinnovarla e svecchiarla con il passare degli anni. Troppo comodo sostituirla come un mezzo vecchio e ormai inutile.

L'amore per la propria lingua è l'orgoglio di ogni nazione, mentre noi al contrario rischiamo di perderla. Possibile che non esistessero vocaboli italiani o che non si potessero creare neologismi per indicare un riassestamento del piano lavorativo, sociale e politico? Che poi sia proprio un "fiorentino" a sottovalutare la nostra lingua per dare, attraverso i termini inglesi, un'idea di un progetto fresco e innovativo, al passo con i tempi e con le altre nazioni europee, appare proprio come uno scherzo del destino! E per passare dal livello linguistico ad una riflessione più generale...E' giusto cercare di omologarsi ai modelli che gli altri paesi ci offrono o addirittura ci impongono? Credo e temo non sia questo il motivo reale che spinge "manager e cittadini comuni" a dimenticare le nostre origini e la nostra vera identità culturale!
Sembra assurdo che terminologie italiane che identificano uomini e cose in modo univoco, possano essere rimpiazzate da una traduzione approssimativa anche se in lingua inglese, eppure l'infatuazione per gli anglicismi è arrivata proprio a questo punto!

Insomma, viene da dire che questi tecnicismi sono un contraltare di cui oggi si riempiono la bocca molti dei nostri manager: costoro, forse, sarebbero un po' più discreti e attenti all'uso della lingua italiana se sapessero che Manager ad esempio è derivato da Manage, che è poi l'italiano cinquecentesco "Maneggio e Maneggiare", cioè trattare e ammaestrare i cavalli!

Quanti ragazzi - nostri figli e nuove generazioni - ad esempio, si ritrovano a scegliere una bibita o un cocktail soltanto perchè è "cheaper"? Termine che molti adolescenti, per brevità traducono dialettalmente in "praticamente aggratis" contrariamente al suo vero significato " più economico" ma anche "più andante e di qualità comune". Ed altri e numerosi esempi potrebbero reggere il mio scrivere!


Piuttosto che apparire quale ricchezza e proprietà di linguaggio quindi l'uso così eccessivo di alcune terminologie anglosassoni sembra un modo "furbesco"per aggirare il rapporto diretto con l'interlocutore. Espressioni idiomatiche, tipiche di una lingua e che non possono essere tradotte alla lettera in quanto non avrebbero alcun significato o peggio ancora un significato fuorviante: dico tutto per non dir nulla!

A ciascuno di noi decidere se l'uso corrente di tali pratiche sia o meno fonte di tranquillità o di preoccupazione per il presente e il futuro dei rapporti linguistici, letterari, così come della nostra tradizione culturale. Let's see what happens, pensiamo in molti!