Si chiama "albero della pace", si ispira alla tragedia di Lampedusa
SAN GIUSEPPE JATO, 21 dicembre - Dopo l'esperimento dello scorso anno, quando da 5.000 bottiglie di plastica venne creato un "albero ecologico", anche in questo Natale a San Giuseppe Jato è stata realizzata un'opera simile, che è stata collocata nella centrale piazza Falcone e Borsellino ed è stata inaugurata ieri sera,venerdì 20 dicembre. Si chiama "albero della pace" ed è composto da più di 300 gabbiette di legno, come quelle usate per la frutta. Il numero ed il materiale usato richiamano le vittime del terribile naufragio di Lampedusa dello scorso ottobre, alle quali l'opera è dedicata: questo materiale richiama infatti, con la sua fragilità, i tanti barconi che ogni giorno attraversano il Mediterraneo con un carico di speranza e poveri Cristi.
Il colore bianco, usato per dipingere le gabbiette sovrapposte l'una sull'altra (come le persone accalcate sui barconi) richiama la luce, il sole, la redenzione, ma anche la purezza e l'innocenza. Il rosso usato per la stella posta sulla cima invece rinvia alla morte, al martirio e alla passione, ma simbolizza anche il rinnovamento della vita, e la stessa stella vuole indicare la volontà di riscatto e la speranza di salvezza e pace.
A lavorare all'opera sono stati giovani ragazzi e ragazze di San Giuseppe, che volontariamente e senza alcuna retribuzione hanno messo in questi giorni tutto il loro talento e la loro forza di volontà per regalare bellezza alla propria comunità e ai propri concittadini senza niente volere in cambio.
L'amministrazione comunale ha offerto gratuitamente gli spazi dove lavorare (un bene confiscato alla mafia che diverrà presto una "Officina creAttiva") e installare l'opera, garantito il sostegno dei suoi operai, pagato i materiali necessari per realizzarla (una spesa di circa 200 euro).
Si tratta per San Giuseppe Jato dell'ennesimo esperimento di "arte democratica" che vede operare in piena sinergia cittadini attivi e istituzioni locali sulla scia dell'insegnamento sempre vivo di Danilo Dolci ed in nome di un concetto, la "cultura diffusa", che vuole sollecitare la partecipazione dal basso nelle scelte e nelle azioni ed educare la popolazione ad essere "comunità" imparando a praticare il cambiamento in modo nonviolento e collettivo.