Lutto nel mondo della giustizia: è morto Alfonso Giordano

Fu presidente della Corte d’Assise di Palermo nel Maxiprocesso contro Cosa Nostra

PALERMO, 12 luglio – Una lunga e brillante carriera nel mondo della giurisprudenza, la docenza all’università e un ruolo di prim’ordine nel Maxiprocesso contro Cosa Nostra: si tratta della vita di Alfonso Giordano, scomparso oggi all’età di 92 anni.

A darne la notizia il figlio Stefano, anch’egli avvocato. Giordano, presidente della Corte d’Assise di Palermo nel famoso dibattimento giudiziario che si concluse con l’emissione di 19 ergastoli e 2.665 anni di pene detentive, viene ricordato principalmente per aver affrontato tale compito meticolosamente e con rigore.
Diventato giudice a soli 23 anni, lavorò come magistrato in Sicilia, in Sardegna e fu presidente della Corte d’Appello di Lecce. La sua professione gli fece ricoprire ruoli di prestigio sia nel capoluogo che a Salemi e a Sciacca, e dal 1968 divenne docente di diritto civile e di diritto privato all’università di Palermo. Ma fu il Maxiprocesso, iniziato il 10 febbraio 1986 e terminato il 16 dicembre 1987, a renderlo celebre.


Gli innumerevoli ostacoli posti dai legali difensori dei mafiosi nonché dalle stesse famiglie degli imputati complicarono non poco le circostanze, ma non scalfirono la determinazione di Giordano: come quando la madre, la moglie, la figlia e le sorelle del pentito Vincenzo Buffa entrarono nell’aula bunker dell’Ucciardone, storico scenario del processo, sostenendo che il loro congiunto non avesse alcuna intenzione di collaborare, incontrando la reazione stizzita di Giordano che ordinava di farle uscire. Di fatto, dopo quell’episodio, Buffa ritrattò le sue dichiarazioni.


Difficile da dimenticare anche lo strano “augurio” che Michele Greco, il “Papa”, capo della Cupola al governo di Cosa Nostra, rivolse a Giordano e a tutta la corte prima che questa si riunisse in una camera di consiglio lunga ben 35 giorni. Era l’11 novembre 1987, e Greco disse: “Io desidero fare un augurio. Vi auguro la pace, signor presidente, a tutti voi auguro la pace, perché la pace è la tranquillità e la serenità dello spirito e della coscienza, e per il compito che vi aspetta la serenità è la base fondamentale per giudicare. Non sono parole mie, sono parole di nostro Signore, che lo raccomandò a Mosè: quando devi giudicare, che ci sia la massima serenità, che è la base fondamentale. Vi auguro ancora, signor presidente, che questa pace vi accompagni per il resto della vostra vita”.