Oggi 18 marzo in ricordo delle vittime di Covid: dietro numeri, storie

 A ciascuna di esse va il nostro omaggio sommesso

MONREALE, 18 marzo – E' già passato un anno. Un anno dal giorno in cui - esattamente oggi - l'Italia registrava il più alto numero di vittime da Covid sull'intero territorio nazionale (2978). Un anno fa, come oggi, qualsiasi schermo ci restituiva l'immagine dei camion militari di Bergamo che silenziosi trasportavano via migliaia e migliaia di salme. Padri, madri, nonni, zii, figli. Dietro i numeri, ci sono loro. 

Cifre, dati, somme. Una conta inclemente che puntualmente ogni sera si presenta compagna indesiderata delle nostre cene e ruba, cattura la nostra attenzione per un solo istante. Una brevissima frazione di secondo. Il tempo necessario a comprendere fugacemente che quel totale continua a salire e che, in fondo, 'chissà quando ne verremo fuori'.  Quel totale oggi è di 103 mila. Ve lo ripeto: 103 mila. Chiudete gli occhi adesso e provate ad ascoltare. Non sarà semplice, solo chi c'è passato è in grado di sentirlo. Cosa, vi chiedete? Un pianto, appena percepibile e soffocato. Sono le lacrime di quanti - nella stessa frazione di secondo di ogni banale cena di ogni banale giorno - hanno appena compreso di incamminarsi a grandi passi verso un inferno che inghiotte e non risputa niente. Oggi dunque - nella giornata in memoria delle vittime della pandemia - prestate ascolto a chi, quel livido morso, l'ha avvertito sulla pelle. Ascoltatelo, perché è attraverso le sue parole che scorgerete le sue ferite. Capterete nella sua voce ogni limpida inflessione che vi tradurrà l'inspiegabile sensazione di smarrimento. Lo smarrimento di quanti - in un brevissimo istante - hanno rimpiato la normalità, come rapita da un vento rapace che strappa via dalla terra, trascinando il cuore in quell'abisso da cui - credetemi - è difficile venire a galla. Famiglie intere che vorrebbero scampare a un dolore che non si sono scelti ma di fronte al quale - e questo è peggio - sono impotenti. La sensazione di aver le mani legate, mentre chi si ama sta scivolando via, è la tortura più cruenta che l'anima potesse mai sperimentare.

Questa è la realtà del Covid. Una realtà che da un anno a questa parte in molti vorrebbero cancellare, come quando un incubo svanisce appena gli occhi si aprono. Una realtà fatta di rabbia furente, generata dalla consapevolezza che chi si amava se n'è andato senza nemmeno il suo vestito migliore, dentro un sacco appena riconoscibile, privato dell'ultima parola di conforto nel silenzio delle terapie intensive, senza quella dignità che a nessun essere umano dovrebbe mai esser rubata. Una rabbia che implode nel petto ogni volta che - per strada- balzano alle orecchie le parole di chi ancora non crede, demistifica, sorvola. Una rabbia che indurrebbe a distruggere ogni cosa, ma che alla fine si risolve sempre nel chiuso pianto. Eccolo dunque l'altro aspetto di chi, questa giornata, la sente più vicina di altri. L'attaccamento ai ricordi, materiali e non. Una foto, un indumento, un oggetto semplicissimo, una parola. Lasciti in eredità di esseri umani, di individui, di persone partite per un viaggio di sola andata. Non di numeri. Non è affatto semplice. Fidatevi di chi scrive, che quell'inferno l'ha visto con i propri occhi e ogni giorno spera che vada via. Un fuoco tanto violento che nemmeno un oceano di parole sarebbe sufficiente a estinguere. 

Il senso della giornata di oggi - istituita perché fosse consegnata alla memoria storica - è dunque quello di continuare a gustare delle piccole cose che, senza accorgercene, ci rendono felici. Continuare a gioire del privilegio di un sorriso, della voce di chi amiamo perché - dura verità - la caducità delle cose è appena dietro l'angolo. Basta un soffio di vento a spegnerle. Ciò che invece non può essere spenta è la memoria. Perché morire è terribile - nessuna vergogna nel dirlo. Ma quel che è ancor più terribile è sparire