Oratorio dei Bianchi: necessita continuare l’opera di recupero e di restauro iniziata “soltanto” trent'anni fa

Un vero e proprio gioiello del sedicesimo secolo, lasciato in un profondo degrado. Le foto

 PALERMO, 15 giugno - La Kalsa, che poco più di mezzo secolo fa ha visto i miei natali, è un quartiere nato durante la dominazione araba. Era la cittadella fortificata dove avevano dimora l'emiro ed i suoi ministri.

Nel cuore della Kalsa, tra i tanti edifici pieni di storia, si trova anche l'Oratorio della nobile, primaria e Real Compagnia del Santissimo Crocifisso noto come l’Oratorio dei Bianchi, un vero e proprio gioiello del sedicesimo secolo che - circa trenta anni fa - è stato acquistato dall'assessorato regionale ai Beni Culturali, che lo ha di fatto sottratto al profondo degrado e abbandono al quale era stato relegato non solo dalla scarsa attenzione della curia arcivescovile ma anche a causa degli ingenti danni subiti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dai terremoti.  Il piano terra dell’Oratorio dei Bianchi, dove all'origine era ubicata la Chiesa della Vittoria, presenta gli stucchi serpottiani provenienti dal complesso delle Stimmate, in un allestimento museografico di rara bellezza, che ne ricrea, ove possibile, la partitura espositiva originaria. In fondo all’aula è custodita l’antica porta lignea della Kalsa, chiamata Bab al Fotik, rinominata dai Normanni Porta della Vittoria e da cui, nel 1071, entrò Roberto il Guiscardo, durante la conquista normanna di Palermo, ponendo fine alla lunga dominazione araba in città. Al primo piano del gioiello in stile barocco sono esposti alcuni arredi settecenteschi, una scultura attribuita al Marabitti e due statue marmoree: una attribuita ad Antonello Gagini e l’altra di Vincenzo Vitagliano. Sempre al primo piano si trova una sala, allora destinata alle riunioni dei confrati dove spiccano le ricche decorazioni di Gaspare Fumagalli. L’Oratorio dei Bianchi viene aperto al pubblico solo in occasione di mostre che, a volte, nulla hanno a che fare con la storia secolare dell’edificio che viene di fatto utilizzato come contenitore. A volte, ciò che temporaneamente viene esposto ostruisce però persino l’ammirazione di ciò che già è all’interno del “gioiello avusitanu.” È proprio il caso di quanto sta accadendo in questi giorni come ho potuto notare in una delle mie recentissime visite. Ma senza nulla volere togliere all’interpretazione artistica del curatore, dell’organizzatore e dell’espositore della mostra, a mio avviso si sta ostruendo alla visuale del visitatore la famosa Bab al Fotik di cui abbiamo sinteticamente accennato. La Porta, unica al mondo, come ho avuto modo di scrivere qualche anno addietro, evidentemente non gode di quella buona sorte che le permetta di essere ammirata senza che qualcosa le si ponga innanzi ostruendone lo splendore.

L’Oratorio dei Bianchi, nonostante siano trascorsi trent’anni dall’acquisto da parte dell’assessorato di Via delle Croci, non è stato del tutto restaurato. È il caso di fare notare che le ricche decorazioni di Gaspare Fumagalli rischiano, in una parte della sala, di essere definitivamente perdute, tanta è la presenza di umidità che grida il bisogno di un urgente intervento strutturale al fine di scongiurare il peggio. Allo stesso modo è necessario che si intervenga anche per smaltire il materiale non in uso e accatastato in una parte di un cortile esterno alla vista: una visione certamente non gradevole, per i tanti visitatori che dovrebbero anche potere utilizzare i servizi igienici. Altro capitolo critico quello dei servizi igienici che andrebbero ristrutturati, in particolare quello destinato (ne ha i requisiti?) ai portatori di handicap, ubicato in un posto angusto e di non facile accesso. Ho sempre pensato che lo stato dei servizi igienici sia, per il fruitore del patrimonio culturale, un indicatore ben preciso del grado di civiltà posseduta che i proprietari del bene (nel caso in esame addirittura una pubblica amministrazione) dovrebbe trasmettere all’esterno. In ultimo, anche nella qualità di operatore del settore, non posso non segnalare l’urgente bisogno di ristrutturazione e di restauro della sala dove operano proprio i restauratori e sala di transito per gli “addetti alla custodia” per raggiungere uno dei vani adibiti alla sala controllo di sicurezza. Proprio questa importante sala, soprattutto nelle giornate invernali, si trasforma in una sorta di lago artificiale in quanto piove dal tetto, con evidenti rischi per la sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro. Questo lo ”stato dell’arte” sul recupero dell’edificio che fu sede della Compagnia del Santissimo Crocifisso formata, illo tempore, da ecclesiastici e da gentiluomini, a rischio circa la conservazione e trasmissione del bene alle future generazioni.