Il carretto siciliano, sintesi di cultura e quotidianità di un tempo, perfetta descrizione dell'”anima sicula”

Da simbolo rurale di vita agreste a “libro” dotato di ruote

MONREALE, 29 aprile – Anche quest’anno in occasione della 390^ edizione della festa del Crocifisso di Monreale assisteremo alla classica sfilata di carretti siciliani.

Avremo modo di osservare una serie di “rebus in movimento”, come li amava definire Maupassant, dove ogni tratto di pittura ha un suo significato e tutti insieme sviluppano una storia. La nascita del carretto siciliano non è antichissima, risale infatti tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento, ed è strettamente correlata all’evoluzione del sistema viario dell’Isola. All’epoca,”si sapeva quando si partiva ma non quando si arrivava, e prima di partire si era soliti confessarsi, prendere la comunione e fare testamento” diceva Giuseppe Pitrè, scrittore palermitano dell’ottocento, studioso di folklore e di tradizione, che soleva descrivere il viaggio del siciliano come di “un’odissea a causa della totale inesistenza di sistema viario in tutta l’Isola”. “Le strade erano più che altro dei sentieri in cui al massimo passavano i muli” racconta Pitrè e fu nel 1774, che, dopo infinite liti e dibattiti, mille peripezie e non poche difficoltà, i Borboni danno l’ordine di realizzare le Regie Trazzere, ossia strade che, seppur ai nostri occhi molto impervie e di certo non adatte alle automobili di oggi, erano attraversabili da un carretto trainato da un mulo.

Per queste trazzere, tra cui ricordiamo la regia strada Palermo – Messina che tra le altre città collegava anche Enna e Catania, il carretto fu progettato con ruote molto alte. Proprio come una jeep moderna, era in grado di attraversare i percorsi più sconnessi.
Il carretto siciliano nasce, dunque, principalmente come mezzo di lavoro per il trasporto di materiale quale sabbia, frumento, pietre, cibo, bevande, etc.. In seguito ebbe anche un uso promiscuo di cose e persone e cominciò ben presto ad assolvere in ruolo didascalico di “cantastorie ambulante” .

La pittura, infatti, ha, quasi sempre, un carattere narrativo tratto dal repertorio della cultura egemone e da fonti letterarie o storiche e riplasmato ed elaborato secondo codici personali accettati dalla comunità e compresi dalla maggioranza del popolo, per lo più analfabeta. La pittura del carro si afferma, quindi, perché assolve diverse funzioni: protettiva del legno, magico- religiosa, antropica di allontanamento del male e del negativo, pubblicitaria per i carri che hanno funzione commerciale, per attirare gli acquirenti e di status symbol per dimostrare la ricchezza del proprietario.
Tra le raffigurazioni più usate, pale di fichi d’india, trinacrie, gesta eroiche di cavalieri, battaglie all’ultimo sangue, scene di caccia, immagini sacre, scene religiose e raffiguranti la vita di santi, varie forme geometriche. La presenza di santi e santini in un certo senso scongiurava gli incidenti durante il percorso, mentre la scelta delle raffigurazioni viene spesso influenzata dagli avvenimenti più importanti dell’epoca.

I colori utilizzati sono sgargianti e predominano il giallo, il rosso, il blu che ben rappresentano il calore di questo popolo. Ogni centimetro, ogni componente, ogni particolare viene dipinto e decorato con cura e nulla è lasciato al caso.
La mescolanza tra culture diverse, non fa certo dei siculi un popolo sobrio e così come la cassata siciliana, tripudio di colori e decorazioni anche il carretto mantiene questa impronta descrivendo perfettamente le innumerevoli sfaccettature dell’”anima sicula” forte e passionale, eccessiva e dolce, ma sempre concreta realizzazione dell’Assoluto.