La Sicilia non profuma più di zagara: la dove c'erano gli agrumi ora c'è...

All'origine del fenomeno la massiccia cementificazione e la scarsa redditività

ROMA, 3 aprile – Cosa viene in mente quando si pensa alla Sicilia? Probabilmente il mare bellissimo, il buon cibo, i cannoli e l’odore degli agrumi. Le arance siciliane, i limoni, i mandarini : famosi e ricercati in tutto il mondo.

Gli agrumi, il manifesto estetico della Sicilia, il profumo sensuale vagheggiato da poeti e viaggiatori, il luccichio tra i rami evocato da pittori e romanzieri, il vanto dei sollazzi arabi. Fecondi, gravidi di succo, luminosi. Peccato, però, che proprio per queste gemme preziose, color dell'oro e del sole provenienti dall’isola più grande d’Italia, non ci sono buone notizie e che le distese di alberi fitti stiano scomparendo drammaticamente.
Al posto degli agrumeti, distese di cemento, parchi eolici o fotovoltaici, o alberi abbandonati dai contadini che hanno gettato la zappa alle ortiche. Un fenomeno che ha spinto gli specialisti del settore a dedicare a questo tema parte della quinta edizione della manifestazione AgruMi, organizzata dal FAI e che dopo il primo appuntamneto di ieri 2 aprile, riprenderà oggi a Milano, a Villa Necchi.

Stando a quanto riportato dai dati dell’Istat, ripresi da Coldiretti, in Sicilia, negli ultimi 15 anni, il numero di limoni si è ridotto del 50%, quello degli aranci del 31% e quello dei mandarini del 18%. In poche parole, sono spariti circa 1/3 dei terreni.

Il motivo di questi dati? Innanzitutto la crisi ha costretto molti contadini ad abbandonare alberi e terreni. Anche i compensi non sono stati d’aiuto, basti pensare che nel 2016 le industrie di lavorazione hanno pagato le arance ai coltivatori solo dai 10 centesimi al chilo per arrivare ad un massimo di 40 centesimi. Un prezzo bassissimo, dettato anche dal fatto che quest’anno, a causa del clima asciutto e la presenza di un virus che ha attaccato le piante, le dimensioni dei frutti si sono ridotte. Al posto degli alberi di agrumi si trovano ora distese di cemento, parchi eoloci e fotovoltaici e campi abbandonati. A peggiorare la situazione ci si mette anche la concorrenza estera: Spagna, Turchia, Tunisia e Marocco godono di costi di produzione bassissimi che li privilegiano sul mercato.

Al grido d'allarme c’è una prima risposta siciliana: “Stiamo lavorando per collegare sempre più strettamente le produzioni ai nostri territori valorizzando le produzioni di eccellenza, cioè i prodotti Igp, quelli Dop, le coltivazioni biologiche che rappresentano ormai il 40% del totale. Vogliamo puntare sul brand degli agrumi di Sicilia. C’è l’arancia rossa, quella di Ribera, il limone di Siracusa, il limone Interdonato di Messina, il mandarino tardivo di Ciaculli, il limone dell’Etna. Ogni frutto una storia, una peculiarità, un metodo di coltivazione, un paesaggio” spiega Federica Argentati, presidente del distretto Agrumi di Sicilia.

Insomma, la soluzione alberga quindi nella qualità ma bisogna far presto. Il rischio però è alto tanto che recentemente chi a Palermo cerca la mitica “Conca d’oro” si ritrova a fare i conti con chi piuttosto che gli agrumeti indica la direzione che porta al grande centro commerciale cittadino.