25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne: alla base ci sono i pregiudizi culturali

Riceviamo e pubblichiamo...

MONREALE, 25 novembre - “La storia è la memoria delle esperienze umane e lo storico è il custode di questa memoria, affinché gli avvenimenti umani non si dissolvano nell’oblio del tempo”.

Queste parole significative sottolineava Erodoto, il “padre della storia”, secondo una nota espressione di Cicerone, per indicare il valore formativo e pedagogico della memoria storica. Con essa guardiamo al passato e poiché solo con lo sguardo rivolto al passato si può comprendere il presente ed evitarne gli errori, allora la memoria appare necessaria affinché la storia sia maestra di vita.

Noi siamo il risultato di generazioni precedenti, ma siamo anche il risultato dei traviamenti dei nostri avi, dei loro errori e dei loro delitti da cui non possiamo ancora sentirci totalmente affrancati, anche se li condanniamo.

E così il 25 novembre riconduce il presente ad un passato nefasto che non può essere dimenticato; è una data che narra la violenza, la sopraffazione, il dominio sull’altro, la guerra di cui le vittime per eccellenza sono le donne. Non a caso la data fu scelta da un gruppo di donne attiviste, che, nell’incontro femminista latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981, vollero con intensità ricordare il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, torturate e strangolate per la loro forte opposizione alla dittatura trentennale di Rafael Leonidas Trujillo.

Il loro encomiabile impegno, pagato al caro prezzo della vita, è traccia esemplare del duro percorso che le donne, in quanto donne, hanno attraversato nel corso della storia per la conquista dei diritti umani, sociali e politici.

Atto di alto valore civile e morale quello dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, designava il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Nel ribadire il valore civile e politico di questa giornata di memoria, che si affianca ad un’altra data significativa, l’8 marzo, la Giornata della Donna, non basta semplicemente interpellare i dati statistici dei femminicidi, che continuano ad essere sconfortanti, ma occorre innanzitutto domandarsi quali sono le cause che inducono a perpetrare la violenza sulle donne. E in questo senso, per prima cosa, occorre cominciare ad indagare sull’immaginario collettivo da cui emergono le diverse forma di violenza che hanno preso corpo sulle donne, di cui quella fisica ne è certamente l’espressione più grave. A tale scopo occorre cominciare dalla violenza culturale che da secoli ricade sulle donne, per indagarne i pregiudizi che ne stanno alla base, poiché da loro nasce l’immaginario collettivo del femminile.

La violenza fisica sulle donne rappresenta, perciò, il prodotto finale di una cultura, come quella occidentale, che ha sedimentato e stratificato una visione stereotipica del femminile, riducendo la donna a mero oggetto di cui l’uomo può disporre.

Ragionare perciò di un problema - il pregiudizio - significa ricercare le radici comuni della cultura occidentale, in cui ci siamo formati e che hanno col tempo costruito l’immagine stereotipica del femminile.

Il pregiudizio è, infatti, l’espressione più manifesta della nostra esperienza individuale, sociale e comunitaria nella quale siamo immersi fin dalla nascita. Per queste ragioni, Einstein afferma che è più difficile rompere un pregiudizio piuttosto che un atomo (It is harder to crack a prejudice than an atom).

I pregiudizi culturali stanno all’origine della violenza fisica sulle donne e, perciò, riflettere sul valore simbolico della memoria condivisa, che ci riunisce tutti e tutte intorno alla data del 25 novembre, significa aprire un momento importante di riflessione, in cui voi giovani possiate ascoltare non solo il racconto di tante storie popolate da quelle donne che sono state vittime della violenza maschile, ma anche quello delle donne che non sono state ai patti, di quelle che sono uscite dalle regole assegnate loro dalla società e che proprio per questo motivo sono state “ferite a morte”, come racconta Serena Dandini nel suo omonimo libro.

Cari studenti e studentesse, interroghiamola, dunque, la cultura occidentale! Potreste davvero scoprirne degli aspetti veramente interessanti!

E proprio a cominciare da quanto il patrimonio dei miti ci ha consegnato, potreste ascoltare storie femminili che denunciano il pregiudizio d’inferiorità attribuito alle donne.

Pandora è la storia, parallela alla Genesi, della creazione della donna, origine di tutti i mali del mondo. Eco e Tacita muta sono due ninfe accomunate dallo stesso destino, non possono che ripetere il detto da altri, ma non arrivano mai alla dignità del dire. Eco perderà il suo corpo, resta di lei un puro suono, una voce che ripete solo e sempre all’infinito. E se notate, cari studenti e studentesse, la parola “eco” è di genere femminile nella lingua italiana.

Tacita diventa la dea del Silenzio. Queste narrazioni mitologiche annunciano che la donna può avere solo parola ripetitiva, ma non ha autonomia e fecondità di pensiero. Per i Romani, come per i Greci, la parola non rientrava nell’ambito delle competenze femminili. “Alle donne il silenzio reca grazia” dice Sofocle e tacere non è solo una virtù, ma anche un dovere delle donne.

Nella mitologia latina Tacita è la divinità degli Inferi che personifica il silenzio.

Per questo cari studenti e care studentesse ve ne voglio raccontare brevemente la storia:

Tacita era una ninfa, figlia del fiume Almone. Il suo nome originario era Lara, divinità dell’oltretomba, Dea della morte.

Il mito narra che Tacita ebbe l’imprudenza di informare la sorella Diuturna della passione che Giove nutriva per lei. Giove infuriato per questa indiscrezione le strappò la lingua e dopo averla ridotta al silenzio ordinò a Mercurio di accompagnarla fino al regno dei morti. Come se non bastasse Mercurio, che si annoiava durante il viaggio e che era invaghito della ninfa, la violentò. Sicchè la ninfa concepì e partorì due gemelli, i Lari, le divinità che vegliavano sui confini e proteggevano la città. Tacita venne venerata come madre dei Lari.

Questo mito fa capire come una Dea della morte, custode del segreto dei morti, venga trasformata in una ninfa e ferocemente punita per avere esercitato un’arte, quella della parola, che è solo prerogativa maschile. Come dea del silenzio Lala assunse il nome di Tacita Muta e come madre dei Lari, venne chiamata Acca proprio perché la lettera H è muta.

Anche nei dialoghi platonici che fanno abbondantemente ricorso ai miti, come nel Teeteto, la filosofia, che è l’esercizio del pensiero, è prerogativa solo degli uomini. Socrate la paragona all’arte ostetrica, che pure ha imparato dalla madre, e dice: «ora, la mia arte di ostetrico in tutto il rimanente assomiglia a quella delle levatrici, ma ne differenzia in questo, che opera sugli uomini e non su le donne e provvede alle anime partorienti e non ai corpi».

Questo racconto introduce una curiosa dicotomia tra la fecondità corporea, prerogativa femminile, e la fecondità noetica (dell’intelletto) che è prerogativa degli uomini. E per queste ragioni Platone può dire nel Simposio che i figli che “partoriscono” gli uomini sono più belli e immortali; essi sono le istituzioni e le leggi che conferiscono agli uomini come Omero, Esiodo, Solone, la fama e la gloria immortale. Per questo ognuno preferirebbe avere questo genere di figli perché, come ribadisce il filosofo greco, siamo indotti a contemplare il bello che è nelle istituzioni e nelle leggi e a ritenere, quindi, che quello corporeo non è che piccola cosa!

Raccontiamo ai giovani per non dimenticare il 25 novembre 1960!

Raccontiamo con la speranza di infondere il coraggio della ribellione a tutte quelle donne, vittime di stupri e di violenza, che ancora oggi soffrono silenziosamente dentro e fuori le pareti domestiche!

Raccontiamo per costruire, insieme agli uomini di buona volontà, un mondo migliore nell’amore della condivisione e del rispetto reciproco!

Raccontiamo semplicemente nell’attesa fiduciosa di un mondo migliore!

 

 * docente di Filosofia e Storia al liceo Basile di Monreale