La tiroide, questa sconosciuta: l’esperto risponde

Parla il dottore Alessio Lo Coco, endocrinologo monrealese

MONREALE, 17 settembre – Sono tanti gli aspetti da trattare quando si parla della tiroide, una ghiandola molto importante del nostro organismo, della quale, però, pochi conoscono le funzioni, se non quando, purtroppo per loro, sono costretti a doverci fare i conti per disturbi sopravvenuti.

Ma quali sono le cose da sapere a proposito della tiroide? Quelle che servono a non allarmarsi ai primi sintomi di disfuzioni, o – cosa ancora più importante – prendere le dovute precauzioni e le necessarie contromisure? Lo abbiamo chiesto all’esperto, l’endocrinologo monrealese, Alessio Lo Coco. Con lui abbiamo fatto una chiacchierata, nella speranza di rendere più chiari alcuni aspetti del funzionamento della ghiandola e dare qualche buon consiglio ai nostri tanti lettori.

 1. Dottore… ma io ho la tiroide?

La risposta lascia spesso stupìti e inorriditi alcuni pazienti: “ebbene sì… ma non si preoccupi perché tanto ce l’abbiamo tutti! Non tutti l’abbiamo uguale, così come non tutti abbiamo lo stesso naso o la stesse mani”. La parola tiroide deriva dal greco e il suo significato è “a forma di scudo oblungo”. Ciò fa già presupporre un ruolo da protagonista buono, in difesa del nostro organismo! Questa coraggiosa ghiandola si trova nella regione anteriore del collo, proprio al centro, appena sotto la pelle, poco più in basso rispetto al celebre pomo d’Adamo. Sia per forma che per dimensioni ricorda una farfalla le cui ali vengono indicate con il termine di lobi tiroidei mentre il corpo della farfalla, localizzato centralmente alla base del collo, viene chiamato istmo. Tuttavia, vi sono alcune condizioni patologiche, presenti fin dalla nascita, in cui la tiroide non porta regolarmente a termine il suo processo di formazione e può non essere presente nel collo con gravi conseguenze per lo sviluppo del sistema nervoso dei neonati (ipotiroidismo congenito). Nell’ambito della popolazione adulta si stima che, in Italia, circa sei milioni di persone abbiano un disordine tiroideo e che solo una su due lo sappia.

2. A che cosa serve la tiroide?

Che gli occhi servano per guardare, la lingua per parlare, il cervello per ragionare (quest’ultimo caso non vale sempre per tutti) lo sanno anche i bambini… ma la tiroide… che funzioni svolge? Apparentemente sembrerebbe che il suo ruolo non sia particolarmente importante e delle molteplici funzioni svolte la più nota è sicuramente rappresentata dalla mitologica capacità di fare ingrassare o dimagrire! Data l'elevata incidenza, principalmente nelle donne, del malfunzionamento della tiroide, è opportuno effettuare, prima di intraprendere una dieta, un’attenta valutazione della funzione tiroidea. Infatti, curare anticipatamente un'eventuale disordine metabolico consente, da un lato, di rimuovere un' ostacolo lungo la via del raggiungimento del peso ideale e dall'altro, scongiura il dramma psicologico di “fare sacrifici senza ottenere risultati”. Quest'ultima affermazione, pronunciata con aria malinconica e rassegnata, rappresenta la sintesi e l'emblema della frustrazione legata al fallimento della dieta, un epitaffio con cui si conclude la sfida (persa) contro il peso. La tiroide è il nostro motore metabolico: se funziona bene regolerà correttamente tutti gli ingranaggi bruciando la benzina (zuccheri, proteine e grassi) che introduciamo quotidianamente con il cibo.

Gli ingranaggi regolati dal motore tiroideo sono costituiti dai seguenti organi:

  • Cute: mantiene l’elasticità dei tessuti e il normale trofismo cutaneo e pilifero
  • Sistema nervoso: modula la comunicazione tra i neuroni garantendone l’efficacia del dialogo
  • Cuore: regola la forza di contrazione, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa
  • Muscoli: regola il trofismo e la tonicità muscolare
  • Intestino: scandisce i tempi di transito e la motilità intestinale
  • Scheletro: regola l'accrescimento scheletrico e i processi di mineralizzazione dell’osso
  • Sistema emopoietico: interviene nella produzione delle cellule che scorrono nel sangue
  • Rene: mantiene normali i livelli di diuresi
  • Apparato riproduttivo: regola i cicli mestruali, la fertilità, il desiderio e la potenza sessuale

In sintesi: è artefice della risposta all’ancestrale interrogativo “avrò un metabolismo lento o veloce?”.

3. Quali esami devo eseguire per la valutazione della tiroide?

L’imprescindibile punto di partenza è rappresentato dalla visita clinica: l'ispezione e la palpazione del collo potrebbero apparire, data l’attuale possibilità di eseguire indagini molto più tecnologiche, apparentemente appartenenti ad uno stile retrò. Invece, esse costituiscono, in maniera INSOSTITUIBILE, il caposaldo nella valutazione della consistenza della ghiandola (tiroide “soffice o dura”), dell’adesione alle strutture anatomiche circostanti, della scorrevolezza sotto la pelle (tiroide “mobile o fissa”) e dell’eventuale coinvolgimento di linfonodi. L'ecografia del collo, effettuata in seguito alla controllo clinico, rappresenta un contributo diagnostico fondamentale per confermare il sospetto che sorge alla visita: costituisce un esame IMPRESCINDIBILE per stabilire forma e dimensioni della ghiandola, aspetti infiammatori, eventuale presenza di noduli anche molto piccoli non diversamente valutabili, patologie che interessano i linfonodi e segni di coinvolgimento degli organi vicini (trachea, esofago e vasi del collo). In base al sospetto clinico ed ecografico, vengono eseguiti gli esami ormonali di laboratorio che consentono di stabilire come funziona la ghiandola e se è presente un’infiammazione. Il riscontro di noduli della tiroide può porre l’indicazione ad effettuare una biopsia per stabilirne la natura benigna o maligna: in questi casi l’esame che consente di valutare le caratteristiche delle cellule è la citologia eseguita mediante agoaspirato il cui risultato consente di stabilire se rimuovere chirurgicamente la tiroide o ricontrollarla a distanza di tempo. In casi specifici è possibile dovere ricorrere alla scintigrafia tiroidea o alla TC del collo. Nessuno di questi accertamenti, isolatamente, fornisce informazioni che abbiano un valore di assoluta certezza diagnostica: ogni esame mostra un aspetto della forma o della funzione tiroidea. La valutazione conclusiva dipende, pertanto, da un'attenta integrazione ed interpretazione dei singoli dati tra di loro al fine di redigere un’ipotesi diagnostica definitiva.

4. Quali sono le più frequenti malattie della tiroide?

Le malattie tiroidee si possono classificare in due grandi famiglie: le tiroiditi e il gozzo nodulare.

1) Le tiroiditi sono malattie infiammatorie provocate dal sistema immunitario che normalmente interviene combattendo contro i virus e i batteri. Nelle tiroiditi, il sistema immunitario aggredisce, paradossalmente, la tiroide mediante la produzione di auto-anticorpi cioè anticorpi diretti contro i nostri stessi organi. Come conseguenza la tiroide può lavorare male: se lavora poco e produce scarse quantità di ormoni si presenta un quadro di IPOTIROIDISMO; se lavora molto e aumenta la quantità di ormoni si configura una condizione di IPERTIROIDISMO. Tra le affermazioni che destano sospetto sulla corretta funzione della tiroide vi sono: “mi alzo dal letto già stanca!”, “sono molto freddolosa! ”, “ho sempre sonno!”, “mi sento gonfia!”, “pur facendo attentamente la dieta ingrasso lo stesso!” oppure “mangio molto ma non ingrasso!”, “non riesco a concentrarmi… dimentico tutto!”, “lamento palpitazioni, tremori, insonnia e sudorazioni”, “mi cadono i capelli”, “non ho il ciclo regolare”.

2) Il gozzo nodulare consiste in un aumento delle dimensioni della tiroide per la presenza di noduli che potremmo descriverli come un gruppo distinto di cellule organizzate a formare una piccola massa tondeggiante nel contesto della ghiandola tiroidea simile ad un comune neo sulla pelle. Di fronte al termine nodulo vi è una più che giustificata sensazione di angoscia ed apprensione legata all'eventualità di trovarsi di fronte ad una possibile patologia tumorale. Fortunatamente, i noduli della tiroide sono per lo più espressione di patologie benigne e solo una ridotta percentuale di essi può celare la presenza di un tumore tiroideo.

5. Perché si formano i noduli?

Ad oggi, questa è una domanda alla quale è difficile rispondere in modo semplice ed esaustivo. E’ ampiamente noto il ruolo svolto dell’apporto carente di iodio assunto con l'alimentazione nel determinare la comparsa dei noduli tiroidei. La tiroide immagazzina lo iodio per produrre gli ormoni tiroidei: quando l’apporto di iodio introdotto con l’alimentazione non è adeguato si può verificare un inceppamento dei normali processi di produzione ormonale con la comparsa, a lungo andare, di alterazioni nodulari. Tuttavia, pur introducendo il corretto apporto di iodio, i noduli della tiroide possono svilupparsi ugualmente; allo stesso modo persone che non assumono l’adeguata quantità di iodio possono non manifestare alcun disturbo tiroideo. A questo punto entra in gioco il ruolo svolto dalla predisposizione genetica intesa come la differente sensibilità che hanno le cellule tiroidee tra loro e tra tiroidi di individui diversi, a subire gli effetti della carenza dello iodio. In parole semplici… ci sono individui in cui la carenza di iodio determina effetti sulla ghiandola tiroidea mentre altri ai quali non provoca alcun problema… esattamente come ci sono individui che se si espongono al sole possono scottarsi mentre altri, per effetto della differente sensibilità della pelle ad assorbire i raggi ultravioletti, non presentano arrossamenti! Tra i fattori ambientali, assume un ruolo importantissimo la radioattività cioè una forma di energia “invisibile” capace di interagire con il nostro DNA provocando effetti potenzialmente molto pericolosi. La parola evoca sicuramente i ricordi delle bombe atomiche, i test nucleari, l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl e di Fukushima. E’ chiaro che questi eventi storici sono ben noti a tutti per effetto della loro maestosità e letale spettacolarità. Tuttavia esistono altri insulti radioattivi, molto più subdoli, la cui intensità, cioè la potenza dei campi elettromagnetici che ci circondano e ci attraversano, potrebbe determinare alterazioni irreversibili della struttura del DNA delle cellule così da ammalarle. Queste sorgenti energetiche, potenzialmente pericolose, sono riconducibili ai dispositivi tecnologici di comunicazione (telefoni cellulari) e allo smaltimento non corretto di rifiuti radioattivi che potrebbero entrare nella nostra catena alimentare a causa del coinvolgimento della contaminazione delle falde acquifere.

In sintesi: l’integrazione tra la carenza di iodio, la predisposizione genetica e alcuni fattori ambientali è verosimilmente responsabile della comparsa e dell'evoluzione dei noduli tiroidei.

 

6. E’ importante assumere il sale iodato?

Le zone a maggiore carenza di iodio sono rappresentate dalle aree geograficamente più lontane dal mare. Il supplemento alimentare con il ricorso al sale iodato da cucina a scopo preventivo è utile al fine di ridurre il rischio di sviluppare il“gozzo nodulare” che consiste in un aumento delle dimensioni della tiroide a causa della presenza di multipli noduli nel suo contesto. Sebbene la profilassi col sale iodato riduca il rischio di comparsa dei noduli, l’approccio ecografico, rendendo più agevole lo studio della patologia tiroidea su larga scala mediante programmi di screening di popolazione, ha consentito di svelare, oltre alle già note ed evidenti patologie ascrivibili alla cosiddetta punta dell’iceberg, una quota sommersa di problemi tiroidei misconosciuti.

In sintesi: poco sale, ma iodato!

7. Ma se gli esami di sangue sono normali… come mai ci sono i noduli?

L’ iter diagnostico che consente di valutare l’integrità dell’anatomia e della funzione della tiroide si articola in due modi

1. Esami ormonali di laboratorio: forniscono indicazioni sulla funzione ghiandolare cioè sulla capacità della tiroide di mantenere normale la produzione ormonale: assumendo che la tiroide possa essere paragonata ad un’automobile, gli esami di laboratorio ci dicono se la ghiandola viaggia alla velocità corretta o se, viceversa, sia più lenta o più veloce.

2. Ecografia del collo: è l’esame di scelta per osservare la tiroide, valutarne la sede e la forma, i rapporti con la trachea, l’arteria carotide, la vena giugulare, l’esofago e i linfonodi. Stabilito che mediante gli esami del sangue studiamo l’aspetto “meccanico” dell’Automobile Tiroide, possiamo affermare che l’ecografia ci offre indicazioni sulla “carrozzeria” e dunque sulla presenza di eventuali ammaccature che corrisponderebbero ai noduli tiroidei. Questo spiega il motivo per cui, pur in presenza di esami di laboratorio normali, possono essere presenti noduli tiroidei: effettuando solo il prelievo abbiamo la metà delle informazioni.

In sintesi:

 

Automobile = Tiroide

 

Meccanico = Esami ormonali di laboratorio

Automobile con velocità “sballata” = Disfunzione ormonale

Carrozziere = Ecografia

Automobile con ammaccature: Noduli

 

8. Perché è importante sottoporsi all’agoaspirato ?

Constatata la presenza dei noduli nella tiroide sarà necessario escludere l’eventualità di trovarci di fronte ad una condizione tumorale. Per quanto sia più che giustificata l’ansia e la tensione emotiva di fronte a questa particolare situazione, fortunatamente, si è relativamente rassicurati dalla statistica: la maggior parte dei noduli tiroidei sono benigni (95-98%). Dall’altro verso, però, la restante percentuale di pazienti (2-5%) risulta affetto da un tumore della tiroide. Dunque, premesso che “i noduli della tiroide sono molto frequenti e per lo più benigni”, è necessario comunque assicurarsi di trovarci di fronte ad una situazione di benignità. L’esame di riferimento per valutare la natura dei noduli è rappresentato dall’ esame citologico eseguito mediante agoaspirato tiroideo ecoguidato: esso consiste in una micro-biopsia effettuata attraverso la cute tramite un ago che consente di prelevare un campione di cellule dai noduli tiroidei e di analizzarne al microscopio le caratteristiche morfologiche (cioè della forma e delle dimensioni). Il termine “agoaspirato” è tutt’altro che rassicurante o invitante…se poi si pensa che la puntura deve essere effettuata nel collo…! Proprio per questo motivo, prima di sottoporsi all’agoaspirato è opportuno essere a conoscenza di alcune informazioni che riguardano le modalità tecniche con cui viene effettuata questa procedura.

A) Il calibro dell’ago. Fortunatamente, il tessuto tiroideo è di consistenza soffice, spugnoso poiché particolarmente ricco di sangue e ciò rende il prelievo agevole con aghi sottili proprio come per una normale iniezione intramuscolare.

B) La lunghezza dell’ago. Nonostante il beffardo destino ontogenetico abbia previsto che la tiroide dovesse alloggiare nel collo (indubbiamente uno dei punti più sensibili del corpo), quantomeno non è indifferentemente confortante sapere che si trova in superficie, appena sotto uno strato muscolare dello spessore di alcuni millimetri: ciò rende possibile ricorrere all’uso di particolarmente corti.

C) Assistenza ecografica: velocità e precisione. In passato l’esame poteva risultare piuttosto complesso da eseguire, con tempi d’esecuzione lunghi che lo rendevano scarsamente tollerato dal paziente. Ormai da diversi anni, l’agoaspirato viene eseguito effettuando contemporaneamente l’ecografia così da visualizzare nel monitor l’esatta posizione del nodulo e i movimenti dell’ago durante il prelievo: in tal modo l’esame risulta generalmente ben tollerato e (in mani esperte) di esecuzione relativamente facile e veloce. L’esame è considerato di routine nei noduli di diametro superiore ad un centimetro.

4) Rischi correlati all’aspirazione. Per alcuni pazienti, la principale paura è che la puntura possa “svegliare il cane che dorme”… così, oltre a temere per l’esito dell’esame si può aggiungere anche il terrore di procurare un eventuale danno. Come se non bastasse, potrebbe esserci chi suggerisce, dal basso delle sue competenze di specialista improvvisato, di “non toccarlo”. In questi casi, fortunatamente poco frequenti, il compito dell’endocrinologo è anche quello di esorcizzare questa primitiva teoria pseudoscientifica: “mentre il cane è il migliore amico dell'uomo, lo stesso non si può dire per i noduli!”. Una volta chiarito che non vi sono rischi di induzione o disseminazione di cellule tumorali, il paziente deve essere informato su eventuali possibili effetti collaterali: molto raramente, dopo l’aspirazione può comparire un ematoma attorno al punto di ingresso dell’ago che scompare spontaneamente dopo pochi giorni; si può lamentare una sensazione di fastidio o raramente, di dolore dovuto ad una micro-lacerazione del muscolo sternocleidomastoideo che ricopre esternamente la tiroide: come per un’ iniezione intramuscolare nei glutei, il dolore dopo un paio di ore si attenua fino a scomparire. La frequenza della comparsa degli effetti collaterali è strettamente correlata ad alcuni fattori: la collaborazione del paziente durante la manovra di aspirazione, la conformazione del collo e non per ultimo, l’abilità dell’endocrinologo che esegue l’esame.

 

9. Dovrò forse operarmi?

Dopo avere eseguito l’agoaspirato, si attende l’esito al microscopio dell’esame citologico. Nel frattempo è inevitabile porsi l’inquietante interrogativo sull’eventualità di dovere ricorrere all’intervento chirurgico. Potremmo immaginare l’esame citologico come l’immagine fornita dall’osservazione di una stanza attraverso il buco della serratura di una porta: guardando attraverso possiamo scorgere alcune caratteristiche e farci un’idea di come possa essere l’interno della stanza (cioè il nodulo). Queste caratteristiche possono configurare un quadro di:

1) Nodulo benigno (85% circa dei casi): l’esito di “tranquillità” del nodulo ci orienta verso un atteggiamento di tipo conservativo mirato a ricontrollare a distanza di tempo, mediante la visita e l’ecografia, il quadro clinico al fine di assicurarsi che non subisca modificazioni degne di nota.

2) Nodulo sospetto (10-12% dei casi): in questo caso, alcuni aspetti cellulari anomali insinuano dei dubbi sulla vera natura dei noduli dato che le alterazioni non sono allarmanti ma potenzialmente candidate a diventare più marcate così da configurare in futuro quadri francamente patologici. Sostanzialmente, “il nodulo non è né bianco, né nero… cioè, non è benigno ma nemmeno maligno”. Il principio è simile a quello per cui vi sono persone belle e altre brutte: nel mezzo ci sono quelle definite “un tipo”. Il suggerimento è quello di valutare un’eventuale prospettiva chirurgica o di ripetere la microbiopsia a distanza di tempo relativamente breve in accordo con la storia clinica del paziente. In questi casi, soltanto la valutazione istologica (cioè dell’intera tiroide rimossa chirurgicamente), potrà dirimere ogni dubbio sulla natura benigna o maligna del nodulo.

3) Nodulo maligno (3-5% dei casi): la presenza di cellule tumorali orienta verso un carcinoma tiroideo che viene quasi sempre confermato al definitivo esame istologico post-operatorio. La citologia offre grande precisione e attendibilità ma è fondamentale ricordare che in medicina non vi sono matematiche certezze sulla positività o negatività di un esito: infatti, ricordando che la Medicina non è una scienza esatta, la diagnosi è per definizione sempre di probabilità. Sebbene l’esame citologico possa talora avere dei limiti intrinseci legati ad alcuni quadri complessi di difficile interpretazione, è importante ricordare la sua indiscussa e fondamentale utilità nell’indirizzare correttamente e tempestivamente il paziente all’intervento chirurgico nel caso di noduli sospetti o maligni. Nel contempo, il riscontro di cellule benigne consente di evitare di inviare il paziente al tavolo operatorio riducendo il numero di interventi chirurgici superflui.

10. Come si curano i noduli tiroidei?

Stabilita la natura benigna dei noduli, non appare del tutto chiaro se necessitino effettivamente di una terapia farmacologica o di una prudente osservazione. Nel corso dei precedenti decenni, lo scopo della terapia farmacologica era ambiziosamente mirato a impedire la crescita dei noduli o a ridurne le dimensioni. Tuttavia, i numerosi dati di letteratura scientifica raccolti finora, sono stati ambigui, ponendo dei vistosi limiti legati agli effetti collaterali della terapia soppressiva con alte dosi di ormoni tiroidei che verrebbero assunti pur avendo una tiroide che di per sè funziona bene. L'affermazione è chiaramente un pò stonata perchè, di riflesso, viene da chiedersi: "ma se la mia tiroide, dagli esami di sangue, funziona bene... per quale motivo devo assumere la compressa di ormone tiroideo?". Il razionale teorico di questa terapia è del tutto simile a quello delle cisti dell'ovaio: praticando la terapia con gli ormoni anticoncezionali, le cisti, nel gergo ambulatoriale, si riassorbono.

Tuttavia, nonostante il ragionevole e fondato principio scientifico, la regola non sembra essere valida per i noduli tiroidei cosicchè l’obbiettivo della terapia viene spesso disatteso: difatti, la terapia farmacologica risulta poco efficace nel caso di noduli di grandi dimensioni o che abbiano particolari caratteristiche ecografiche. Inoltre è assolutamente controindicata nelle donne in menopausa, con osteoporosi e in pazienti con precedenti episodi di ischemie cerebrali o cardiache. In base a questi dati, negli ultimi anni, l'orientamento generale è stato quello di evitare una terapia aggressiva affidando all’endocrinologo il ruolo di osservatore prudente: "wait and see" cioè "aspettare e guardare" in modo da intervenire prontamente qualora il quadro clinico o ecografico dovesse subire delle variazioni. Al contrario, nel caso in cui i noduli provochino uno stato di ipertiroidismo (eccesso di funzione) è necessario praticare una terapia con farmaci tireostatici, capaci cioè di riportare nella norma l’eccessiva funzione dei noduli. Con la stessa finalità può essere data l’indicazione ad eseguire la terapia radio-metabolica con lo iodioradioattivo che viene assorbito dai noduli, ignari che la dose di radioattività sia per loro letale. In presenza di noduli sospetti all’agoaspirato o di voluminoso gozzo viene suggerito l’intervento chirurgico con un intento radicale cioè volto a rimuovere l'intera ghiandola tiroidea.

Conclusioni

La comparsa subdola e graduale di molti disturbi tiroidei finisce per rallentare i tempi della diagnosi: infatti, il più delle volte, la scoperta di un problema tiroideo ha alle spalle un lungo periodo di incubazione di diversi anni, durante i quali vengono eseguite indagini generali senza che queste abbiano dato indicazioni chiare, relative alla causa dei sintomi che si scoprono tardivamente essere riconducibile alla tiroide.