1 Maggio 1947, la Strage di Portella della Ginestra

 

 

Il ricordo di una strage rimasta ancora oggi impunita

PORTELLA DELLA GINESTRA, 1 maggio - Non c’è futuro senza memoria. E l’eccidio di lavoratori che avvenne il primo maggio del 1947 in località Portella della Ginestra, la prima strage di Stato dell’Italia repubblicana, non può essere dimenticata.

Primo Maggio 2015 a Portella della Ginestra il 68esimo anniversario della strage. Ancora oggi come quel giorno, quei tragici eventi affermano l’attualità del richiamo ai principi fondamentali della giustizia e della legalità, beni preziosi ma non ovunque e non a tutti accessibili. Una giornata carica di manifestazioni dedicate agli esodi dei migranti, a quanti per sfuggire alle guerre dei loro paesi e realizzare un sogno di libertà hanno perso la vita.
Il 1º maggio 1947, nell'immediato dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile, ossia al Natale di Roma, durante il regime fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini, si riunirono a Portella della Ginestra, nella vallata circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet, per manifestare contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'assemblea regionale siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno.

Contadini e braccianti  di quelle terre aride e dimenticate, con i muli e cavalli addobati di nastri colorati per una giornata da trascorrere in allegria, si riunirono in fondo alla vallata, a poca distanza dalla vecchia strada dove una grossa roccia calcarea, veniva usata come podio per i comizi. Ma mentre la festa si svolgeva in piena allegria, le risate, i canti, le danze, furono interrotti da scariche di mitra e bombe fatte esplodere da un commando a bordo di alcune auto nere.

Improvvisamente, infatti, dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si protrassero per circa un quarto d’ora e lasciarono sul terreno undici morti (nove adulti e tre bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.

Esecutore materiale della strage è stato il bandito Salvatore Giuliano, con la sua banda. Salvatore Giuliano comincia la sua carriera criminale nel 1943 uccidendo un carabiniere che vuole fermarlo mentre trasporta sacchi di frumento provenienti dal mercato nero. Fugge e comincia a imperversare tra proprietari terrieri, imprenditori, commercianti, sempre imprendibile.

Nel 1945, in un difficile dopoguerra, entra a far parte dell’Evis, il braccio armato del movimento indipendentista siciliano che viene, però, sciolto dopo la concessione dell’autonomia alla Sicilia. Giuliano non depone le armi. E l'eccidio di Portella della Ginestra contro i lavoratori che tornano a festeggiare il primo maggio è l’episodio che segna l’apice dell’attività della sua banda.

Le persone uccise si chiamavano Margherita Clesceri, Giorgio Cusenza, Giovanni Megna, Francesco Vicari, Vito Allotta, Serafino Lascari, Filippo Di Salvo, Giuseppe Di Maggio, Castrense Intravaia, Giovanni Grifò, Vincenza La Fata. Tre di loro avevano meno di 13 anni.

Nel 1950 Salvatore Giuliano venne trovato morto in una casa colonica chiamata “Villa Carolina” tra Pioppo e Monreale. All’inizio fu dichiarato che ad ammazzare il “Robin Hood” siciliano furono i carabinieri durante un conflitto a fuoco, ma poi fu chiarito che a tradire ed ammazzare nel sonno il bandito, furono i suo “picciotti” più fidati:  Nunzio Badalamenti e Gaspare Pisciotta che, in cambio dell’impunità, accettarono di eliminarlo. Pisciotta morirà poi in carcere avvelenato dopo le sue dichiarazioni di voler svelare i veri retroscena della strage che resta, a tutt’oggi, uno del “misteri” d’Italia più agghiaccianti, i cui mandanti non sono stati mai identificati.