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L'hashish non era destinato allo spaccio, ma serviva per uso personale: assolto dipendente dell'Ato

| Enzo Ganci | Nera e giudiziaria

Nella vicenda di Roberto Pupella "il fatto non sussiste"

PALERMO, 28 novembre – La sostanza stupefacente che aveva addosso non era detenuta ai fini di spaccio, ma serviva ad uso personale. Con questa motivazione il Gup del Tribunale di Palermo, Lorenzo Jannelli, ha assolto il monrealese, Roberto Pupella.

Secondo il giudice il fatto non sussiste, come ha lui stesso affermato al termine del giudizio abbreviato, assolvendo Pupella, operaio di 40 anni di Monreale e dipendente della società Alto Belice Ambiente PA 2, dall'accusa di aver detenuto ai fini di spaccio 27 grammi di hashish.

Il Pubblico Ministero in sede di requisitoria aveva concluso chiedendo la condanna dell'imputato alla pena di due anni di reclusione e 4.000 euro di multa.

La vicenda risale al marzo del 2011, quando i carabinieri di Monreale, impegnati in un'azione ad ampio raggio per la repressione di traffici illeciti sul territorio, operavano una perquisizione presso l'abitazione di Pupella.

Nell'occasione i militari rinvenivano e sequestravano 27 grammi di stupefacente che, a seguito dei rituali esami tossicologici, risultava avere un principio attivo superiore alla soglia normativa prevista per l'applicazione della discriminate del cosiddetto "uso personale". Da qui la denuncia a piede libero e il processo a carico del giovane.

In sede di discussione, l'avvocato Piero Capizzi, difensore di Pupella, chiedeva l'assoluzione, sostenendo che lo stupefacente rinvenuto, sebbene avente un principio superiore alla soglia normativa prevista, era destinato ad uso esclusivamente personale del giovane e non invece destinato ad essere ceduto a terzi, come ritenuto, invece, dalla pubblica accusa. Il Gup emetteva quindi sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste

«Nel caso di specie - precisa il legale - abbiamo evidenziato come agli atti fosse già la prova che Pupella, soggetto avente un autonoma capacità reddituale, per come provato documentalmente, deteneva lo stupefacente a casa per un uso esclusivamente personale, tanto che i carabinieri all'interno della sua abitazione non trovarono strumenti sintomatici di un'attività di spaccio, quali bilancini o particolari strumenti da taglio. Ho sempre sostenuto e continuerò a sostenere –aggiunge Capizzi – che un giudizio sulla responsabilità penale non può mai essere rimesso ad automatismi di tipo matematico. Se così fosse non avrebbe senso celebrare il processo e le sentenze potrebbero essere scritte contestualmente all'accertamento dei fatti».

 

 

· Enzo Ganci · Editoriali

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