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Usura ed estorsione anche a Monreale, in dieci andranno a processo

| Enzo Ganci | Nera e giudiziaria

Si concludono le indagini scaturite dall’operazione “Breccia”, nata dalla denuncia di un imprenditore taglieggiato

PALERMO, 21 ottobre – Si terrà il 15 marzo, di fronte alla seconda sezione penale del tribunale di Palermo, il processo a carico di dieci presunti estortori, che erano stati coinvolti nell’operazione “Breccia conclusa dai carabinieri il 13 dicembre dello scorso anno.

Lo ha stabilito il gup Cristina Lo Bue, che ha emesso il provvedimento di rinvio a giudizio. Usura ed estorsione aggravata dal cosiddetto metodo mafioso il capo d’accusa che grava sui dieci, al termine di un’articolata azione di indagine coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dal sostituto Dario Scaletta, che aveva portato a sette provvedimenti di arresto, firmati dal gip Lirio Conti.
L’attività di indagine era partita dalla denuncia di Giorgio Girgenti, 51 anni, originario di Prizzi, che aveva rivelato di essere stato schiacciato dai debiti e dalle richieste dei mafiosi. Tra i suoi presunti taglieggiatori ci sarebbe stato anche l'ex direttore di sala del Teatro Massimo.La vittima si è costituita parte civile al processo insieme all’associazione anti racket ed usura Solidaria.

Davanti al giudice si presenteranno Carmelo La Ciura, Tiziana La Ciura, Antonella La Ciura, Maria Alerio, Alfredo Giordano, Marco Neri, Santi Pullara, Francesco Di Marco, Salvatore Fileccia e Gioacchino Meli.
L’indagine era stata avviata nel febbraio 2017 a seguito delle sommarie informazioni, prima, e della formale denuncia, poi, presentate Girgenti, un imprenditore attivo nel settore dell’intermediazione immobiliare e deputato alla gestione di cospicui cespiti fondiari. Nel 2016, a seguito dell’operazione Brasca del Ros che colpì i vertici del mandamento di Villagrazia-Santa Maria di Gesù, l’imprenditore aveva dichiarato di essere stato vittima di estorsioni ed usura messe in atto da soggetti con i quali era venuto in contatto in ragione dell'attività professionale svolta nel settore immobiliare, che solo in un secondo momento avrebbe scoperto essere esponenti mafiosi e che ben presto sarebbero giunti ad esercitare nei suoi confronti forme di pressione per coartarne la libertà negoziale.
Le sue dichiarazioni avevano trovato riscontro nel contesto associativo che era stato ricostruito con la citata indagine “Brasca” a cui può ascriversi la regia delle attività estorsive in questione.

Secondo quanto emerso dalle dichiarazioni della vittima e dalle attività di riscontro (che si erano avvalse del prezioso contributo delle intercettazioni effettuate nel corso dell’indagine Brasca) la vicenda aveva inizio nel 2010 con l’acquisto di un immobile in corso di edificazione in zona Arenella che determinava una importante esposizione dal punto di vista finanziario.

Sarebbe, quindi, subentrato uno degli indagati, già destinatario dell’operazione Brasca, il quale avrebbe elargito a Girgenti prestiti per un ammontare di 80.500 euro dei quali avrebbe preteso la restituzione a tassi usurari (fino al 2.607 % su base annua), ottenendo dalla vittima l’emissione di assegni di importo comprensivo anche degli interessi usurari e finanche la stipula di un atto di vendita di un appartamento con la promessa di conteggiare il debito di 60.000 euro (comprensivo della somma a capitale di 30.000 euro a suo tempo concessa e degli interessi a tassi usurari concordati e assistito da assegni) nel calcolo complessivo dei rapporti di dare e avere maturati tra i due.

Al fine di ottenere il pagamento delle somme pretese, l’autore del prestito si sarebbe rivolto agli esponenti mafiosi di Villagrazia per chiedere un intervento sul debitore: in questo senso, importanti riscontri erano giunti dalle intercettazioni ambientali effettuate, nel corso dell’indagine Brasca, presso un’impresa di lavorazione marmi che, definito con sentenza irrevocabile, era il luogo destinato a riunioni tra gli esponenti della consorteria mafiosa oltre che agli incontri con le vittime delle attività estorsive, appositamente ivi convocate.

In una prima fase, sarebbe stato individuato quale referente mafioso per la famiglia di Monreale (sede delle attività dell’imprenditore e, dunque, “territorialmente competente”) nonché mediatore delle pretese degli uomini d'onore di Santa Maria di Gesù – Villagrazia, un soggetto di Monreale.
Al fine di esercitare una più decisa azione di convincimento sulla vittima, sarebbero poi intervenuti direttamente gli esponenti del mandamento, compreso l’allora capo mandamento, oggi deceduto.

Era, inoltre, emerso l’interesse (poi non concretizzatosi in atti negoziali) degli esponenti mafiosi del mandamento di Villagrazia-Santa Maria di Gesù per l’acquisizione di alcuni immobili gestiti dall’imprenditore, e in particolare per un complesso immobiliare di prestigio sito a Canicattì (AG) dal valore stimato di circa 4 milioni di euro.
Nel 2013, il soggetto monrealese individuato quale “mediatore” veniva tratto in arresto per associazione mafiosa ma, nonostante lo stato di detenzione, avrebbe esercitato - mediante i propri familiari e, ancor più incisivamente, mediante un altro degli indagati, legato da vincoli di parentela ad importanti esponenti mafiosi della famiglia della Noce – infruttuose pressioni sulla vittima al fine di ottenere la corresponsione di somme di denaro da destinare al sostentamento del proprio nucleo familiare.

Erano state ricostruite, infine, le estorsioni praticate in danno dell’imprenditore da parte di altri due indagati i quali, mediante violenza e minacce, in ragione di un credito ammontante a 150.000 euro sarebbero riusciti a farsi rilasciare una procura speciale a vendere una struttura ricettivo-alberghiera, del valore, evidentemente sproporzionato rispetto al credito vantato, di 250.000 euro; i due, inoltre, avrebbero costretto la vittima a rinunciare ad una caparra già versata di 332.840 euro, per l’acquisto di una villa sita in Altavilla Milicia, che veniva invece acquistata da uno di loro, sfruttando a proprio favore la predetta caparra quale parte del corrispettivo e senza mai restituirla alla vittima.

 

 

· Enzo Ganci · Editoriali

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