Avrebbe approfittato dello stato di incoscienza della donna per “finirla”
PALERMO, 2 marzo – . Per la Corte d’assise d’appello che nel mese di novembre dello scorso anno ha confermato la condanna a 20 anni di carcere per Salvatore Maniscalco, accusato di avere ucciso la moglie Concetta Conigliaro nell’aprile del 2014, l'uomo non merita attenuanti.
Stante la motivazione depositata dai giudici e riassunta in un articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia a firma di Riccardo Arena, l'uomo, a dispetto dell’aria dimessa e apparentemente pacifica, con cui aveva cercato di farsi credere vittima di una moglie manesca e fedifraga, viene descritto come individuo dotato di “capacità criminale, testimoniata, oltre che dalla incontestabile gravità dei delitti commessi, dalle terribili modalità scelte per distruggere il cadavere della moglie, dai ripetuti macabri gesti di depistaggio e di ostentazione della giusta fine fatta dalla donna”.
Per i magistrati, infatti, che non hanno escluso che il delitto fosse avvenuto in seguito ad una lite degenerata, la morte della donna sarebbe stata tuttavia determinata da un soffocamento operato dall'uomo nonostante lo stato di incoscienza in cui versava la vittima.
La tesi della provocazione è quindi caduta di fronte a considerazioni assai trancianti, rafforzate da una recente sentenza emessa dalla Cassazione secondo la quale “La violenza e l’omicidio in specie, ancorché perpetrati per salvaguardare l’onore offeso dal tradimento del coniuge e per ricostituire l’unità familiare, non possono trovare approvazione nella coscienza etica collettiva. La gelosia e la vendetta, dettate da un malinteso senso dell’orgoglio maschile, colpito dall’infedeltà coniugale, costituiscono sempre passioni morali riprovevoli, mai suscettibili di valutazione etica positiva”. La “reazione criminosa - scrive ancora il giudice relatore, Roberto Murgia - è “manifestamente sproporzionata rispetto al fatto provocatorio”, rinnegando così “la presenza di uno sfogo per odio, risentimento, gelosia, vendetta, che nel fatto altrui trova pretesto ma non la vera causale”.
Nessuno sconto di pena né alcuna attenuante quindi per Salvatore Maniscalco.Nonostante le richieste formulate dal pg Giuseppe Fici finalizzate a una riduzione da 20 a 16 anni proprio per l’attenuante della provocazione (l’imputato sarebbe stato provocato dalla moglie che lo picchiava), la corte d’assise d’appello di Palermo, presieduta da Biagio Insacco, a latere Roberto Murgia, con la sentenza del 21 novembre 2016 ha confermato nettamente la condanna di primo grado nel processo che si è svolto con il rito abbreviato.