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“La strage di Nassiriya si poteva evitare”, per il tribunale di Roma “clamorosi errori e irresponsabili assurdità”

| Enzo Ganci | Nera e giudiziaria

Clamorosa sentenza civile a 13 anni dall’evento. Gravi le responsabilità del generale Stano

ROMA, 13 febbraio – La strage di Nassiriya si poteva evitare. L’autocisterna che il 12 novembre del 2003 irruppe nella base militare italiana in Iraq e uccise 19 italiani (12 carabinieri, 5 soldati dell’esercito e due civili) e nove iracheni, poteva essere fermata. Fra questi, come è noto, c’era il vicebrigadiere monrealese dei carabinieri, Domenico Intravaia.

A riportare la notizia in esclusiva è stamattina il portale Tiscali, in un articolo a firma di Giuseppe Caporale e Luca Comellini. In pratica, sarebbe bastato non commettere alcuni errori, uno dei quali clamoroso, per evitare che i terroristi iracheni, potessero compiere il gesto dinamitardo con il quale fecero saltare in aria il presidio italiano nel quale operavano i militari.

A stabilirlo adesso, a più di 13 anni dall’attentato, è una sentenza della Corte d’Appello della prima sezione del tribunale civile di Roma, che lo scorso 8 febbraio ha depositato le motivazioni e che arriva dopo che la procura militare di Roma non ha presentato ricorso davanti all’assoluzione in secondo grado dei vertici finiti all’epoca sotto processo penale, spalancando così le porte all’assoluzione ormai definitiva.

Le cose sono andate in maniera diversa, invece, in sede civile, con il generale dell’esercito Bruno Stano (in pensione) che ora è stato condannato a risarcire le vittime. Per quantificare l’ammontare dell’importo cui avranno diritto i familiari delle vittime, però, occorrerà un altro procedimento giudiziario, a meno che il ministero della difesa non si decida a chiudere la vicenda e risarcire direttamente i familiari.

Secondo quello che si legge nella sentenza sarebbe “manifesta la stretta dipendenza tra il reato commesso (dal generale Stano, ndr) e la morte e le lesioni riportate dalle vittime”. Anche perché il pericolo di attentato era stato accertato. Dice infatti la sentenza: “Non può non essere ribadito, sul primo profilo il vero e proprio preavviso di pericolo concreto contro le basi italiane in Nassiriya, dato dal "punto di situazione" del 5 novembre, noto al comandante, secondo cui un gruppo di terroristi di nazionalità siriana e Yemenita si sarebbe trasferito a Nassiriya, risultato ex post tragicamente veridico vedi le dichiarazioni del terrorista S.M.A.H. circa la base italiana scelta, quale obbiettivo, dopo sopralluogo, per la sua palese vulnerabilità. Si devono, allora, ricordare anche i messaggi del Sismi del 23 ottobre: un attacco ad un obbiettivo al massimo entro due settimane. E del 25 ottobre, con precisione fin nei colori del mezzo: un camion di fabbricazione russa con cabina più scura del resto. Qui si deve rilevare l'evidente sottovalutazione, in capo allo Stano, comandante prò tempore, di un allarme così puntuale e prossimo”. 

Prosegue il dispositivo: “Tale allarme si colloca, temporalmente, una settimana prima del tragico evento: ben c'era possibilità, dunque, di predisporre utilmente qualche maggior contrasto anche temporaneo. In ordine all'aspetto della complessiva insufficienza delle difese passive, il dato è certo e clamoroso. Né lo nega la sentenza impugnata che rileva quel che era sotto gli occhi di tutti (sul punto la sentenza ingiustamente svilisce le precise e corrette dichiarazioni del Colonnello Burgio, ma anche del Colonnello Perrella: la situazione sul campo era anche più grave di quanto già non apparisse sulla carta). Mancanza di un'area di rispetto, inesistenza di una serpentina, hesco bastion troppo bassi e riempiti di ghiaia anziché di sabbia, così essendo chiaramente insufficienti e passibili di trasformarsi in proiettili (come per le munizioni della riservetta) anziché  avere  effetto  protettivo”.  

Proseguono i giudici: “Anche  quanto  alla   riservetta (deposito munizioni, ndr) la  sentenza precedente appare inadeguata, disattendendo la questione con una generica affermazione di concreta irrilevanza, mancando con ciò di confrontarsi - per non dire errando sul punto - con gli esiti delle indagini medico-legali che rilevavano come alcune vittime fossero state colpite da proiettili esplosi ma non sparati, il che rimanda proprio alla riservetta esplosa per l'innesco causato dall'esplosione del camion-bomba. Sullo specifico punto, anche un estraneo alle arti militari dovrà rilevare l'irresponsabile assurdità della collocazione così esposta di un deposito di munizioni”.

Prosegue il dispositivo: “Tanto è poco vero che lo Stano sarebbe stato colposamente inattivo solo per ordine superiore, per attuare le direttive di una presenza soprattutto umanitaria (come sostiene la sentenza impugnata), che egli stesso, nel suo interrogatorio riferiva di aver emanato in data 22 ottobre 2003 la direttiva FRAGO 109/031 con la quale si disponeva il progressivo trasferimento di alcune basi del nostro contingente verso aree più sicure. Dunque, piena consapevolezza dei rischi imminenti; percezione della necessità addirittura del trasferimento (non attuato). E non vero che la direttiva gerarchica-politica imponesse la permanenza necessitata in posizione di rischio, tra la gente del posto. Non solo, ancor più era necessario innalzare, nel frattempo e nel possibile, le difese passive, in nulla attuate”. E prosegue la sentenza: “E non è chi non veda - e qui la responsabilità dello Stano si fa stringente - come il tutto si leghi con il profilo appena rilevato della riduzione del rischio: non si trattava del trasferimento in blocco dell'intera base (o delle due basi), né di installare provviste invadenti, ma della predisposizione, in prospettiva temporanea, di mezzi più efficaci di protezione passiva, secondo semplici prudenze, quali hesco bastion più alti e riempiti a regola d'arte (con sabbia), area di protezione, serpentina; ma anche temporanei posti di blocco, od anche la chiusura del ponte e della via. Ciò era imposto - se si vuole - proprio da una adeguata valutazione del rischio preannunciato e pressoché sicuro, ma ciò era anche, per la sua limitata temporaneità, fino al rientro dell'allarme specifico, di accettabile impatto per la popolazione locale. Anche sul punto (non turbare la popolazione locale con aspetti troppo militaristici) non può non rilevarsi come la sentenza pretermetta, fino ad ignorare, il dato certo dei continui contatti dei comandi italiani con quelli locali, il che ben poteva consentire, proprio nel dichiarato intento di una fruttuosa collaborazione, di predisporre il necessario in termini di sicurezza con buona accettazione reciproca. E' - ancora una volta - la sentenza di primo grado (v. f. 68) a ricordare come il 28 ottobre 2003, a due settimane dal tragico evento, vi fu un incontro tra i comandi locali e quelli italiani (che lo Stano ha ammesso), incontro in cui si parlò proprio dei sempre più ricorrenti allarmi: occasione persa, in tale prospettiva, che non può non gravare, per quel che qui rileva, sui comandi italiani, e dunque sullo Stano”. 

Ed allora: un siffatto operare - il comportamento virtuoso che si richiede a chi presiede una posizione di garanzia - sicuramente avrebbe, secondo regole di comune e condivisa esperienza, ridotto il rischio in sé o, quam minus, ridotto gli esiti di danno, perché il camion bomba, costretto a fermarsi prima, non avrebbe cagionato la strage poi in realtà causata.

Va in proposito ripresa, e fatta nostra, la corretta osservazione del giudice di primo grado secondo cui l'impiego di un secondo attentatore, oltre il necessario autista del camion-bomba, fu previsto dai terroristi in funzione di mitragliatore, perché era evidente che unico ostacolo poteva essere solo il Carabiniere della postazione (OMISSIS), altrimenti vi era via libera fino alla palazzina”.

· Enzo Ganci · Editoriali

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