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Arrestato perchè coltivava piantine di cannabis, ma l'esame della marijuana non arriva: scarcerato

| Enzo Ganci | Nera e giudiziaria

Per il tribunale vengono meno gli indizi di colpevolezza

MONREALE, 21 maggio - Era stato arrestato il 3 maggio scorso perché sorpreso a coltivare ben 74 piantine di marijuana dell’altezza di circa 70 centimetri ciascuna. Adesso, però, dopo che il giudice Fabrizio Anfuso aveva convalidato l’arresto, ponendolo ai domiciliari, Salvatore Alongi, 44 anni di Monreale, residente in via Due Vanelle, è stato rimesso in libertà.

A decidere per la revoca del provvedimento restrittivo è stata la quinta sezione penale del tribunale di Palermo, che, accogliendo la tesi difensiva dell’avvocato Alessandro Musso, legale dell’indagato, ha optato per la carenza di gravi indizi di colpevolezza e per l'assenza di esigenze cautelari. Il motivo va ricercato nel fatto che, dopo oltre due settimane dall’arresto, non si conoscono ancora la natura e il quantitativo di principio attivo della sostanza stupefacente sequestrata.

In pratica: non essendoci ancora un riscontro ufficiale, le piantine sequestrate, sul piano puramente teorico, potrebbero essere innocue, perché potrebbero non aver raggiunto un livello di fioritura tale da essere offensive per la salute pubblica.

Discorso diverso, invece, per la questione del merito: questa sarà discussa nell’udienza che lo stesso tribunale ha fissato per il 17 giugno e nella quale il destino di Alongi sarà deciso dall’esito delle analisi delle piante, che nel frattempo potrebbe essere chiare. Se queste dovessero affermare che la marijuana possedeva un effetto “drogante” il processo prenderebbe una strada quasi inevitabilmente sfavorevole all’imputato. In caso contrario la posizione di quest’ultimo sarebbe di parecchio alleggerita.

Secondo l'accusa l'indagato, che era stato bloccato dai carabinieri del Nucleo Radiomobile, avrebbe creato una serra con due termoventilatori, un impianto di ventilazione, un deumidificatore, un idrometro ed altre attrezzature varie. La coltivazione di canapa indiana, inoltre, era riscaldata da nove lampade ad esafonuro che illuminavano le piantine. Tutto l'impianto era allacciato abusivamente alla rete pubblica.

Particolare, quest’ultimo, che lo stesso Alongi ha ammesso, ma che non ha influito sulla decisione di scarcerazione da parte del tribunale. Soddisfatto l’avvocato Musso, che già in sede di udienza di convalida aveva sostenuto questa tesi e che ritiene che sia stato applicato un importante “principio di garanzia, già indicato, peraltro, in altre circostanze anche dalla Cassazione”.

· Enzo Ganci · Editoriali

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