257 cittadini sarebbero costretti ad abbandonare le loro case se dovessero arrivare le piogge forti
ALTOFONTE, 16 settembre – Il paesaggio è spettrale e l’odore acre di bruciato non vuol saperne di andar via. Nonostante siano passate più di due settimane dal terribile incendio che ha cancellato quel paradiso della Moharda. La sensazione è che tutto ciò, purtroppo, possa durare a lungo.
La sensazione, soprattutto, è quella di una situazione che non promette nulla di buono per tutta la comunità altofontina. Perché ad essere andato via non è soltanto un patrimonio boschivo di enorme valore, tanto ambientale, quanto, soprattutto, affettivo. È andata via la tranquillità di molti, da quel maledetto 29 agosto. Una tranquillità che non alberga più all’interno di una novantina di famiglie. Una tranquillità che da due settimane ha perso anche il sindaco Angelina De Luca. Tutti i suoi concittadini l’hanno elogiata, l’hanno sostenuta. Anche nel corso della seduta straordinaria del Consiglio comunale, convocata appositamente per discutere di questo “cataclisma”, ha ricevuto attestati di stima bypartisan. Il suo impegno per proteggere la sua amata comunità parchitana è stato sotto gli occhi di tutti. Il suo utilizzo efficace dei social e la sua sovraesposizione hanno notevolmente contribuito ad affrontare l’emergenza.
Ora, però, è tempo di ricostruire. Certamente la fase più difficile. Soprattutto se in mezzo c’è l’incolumità delle persone. Il rischio di dissesto idrogeologico è dietro l’angolo ed è pressoché scontato dopo un evento calamitoso come quello che ha inghiottito il bosco della Moharda. A rischio ci sono 257 cittadini di Altofonte, le cui abitazioni ricadono in una zona, chiamiamola “rossa”, nella quale – in caso di precipitazioni forti – il pericolo di smottamenti non è affatto peregrino.
Cosa significa questo? Significa che – teoricamente – ogni volta che la Protezione Civile dirama un avviso di allerta meteo, con rischio di piogge abbondanti (praticamente decine di volte l’anno), il sindaco dovrebbe far evacuare quella zona per ragioni di pubblica incolumità. Sicuramente non una cosa da niente, di fronte alla quale, tra l’altro, la legge individua precise responsabilità, anche penali. Con una domanda ulteriore: dove andrebbero queste 257 persone? Trascorreranno le giornate all’addiaccio o per loro sarà possibile trovare un riparo? Al di là della facile risposta del “PalaCanino”, il palazzetto dello sport di via Discesa Giardini, che verrebbe sottratto alle molteplici attività agonistiche, il problema si pone, eccome.
Possibile prevedere ogni volta difficili piani di evacuazione, ciclici e continui, che coinvolgano non quattro gatti, ma centinaia di cittadini? Comprensibile, quindi, capire e giustificare il sindaco se ha perso il sonno (in qualità di responsabile dell’incolumità dei cittadini, è lei chiamata a risponderne in prima persona), se è costretta a stare col naso all’insù per vedere che tempo fa, sperando che non piova.
Ora è fin troppo evidente che tutto ciò non può continuare. È necessario che avvenga – e non soltanto a parole – la tanto decantata sinergia istituzionale. È necessario che tutti soggetti agiscano concretamente per non lasciare sola la comunità altofontina, già così duramente provata da un evento calamitoso senza precedenti. Un ulteriore guaio al territorio del Parco, uno dei più belli della provincia di Palermo, non sarebbe la sconfitta di un sindaco o di un paese. Sarebbe la sconfitta di tutti.