Ho visto il virus da vicino con il mio primo turno di notte e ci dovrò fare i conti ogni giorno
La testimonianza di una parchitana che lavora nel reparto Covid dell'ospedale di Partinico
Ho visto il virus da vicino con il mio primo turno di notte e ci dovrò fare i conti ogni giorno. Un mix di sensazioni: ansia che cresce, una ricerca continua di vie di fuga ma anche di rassicurazioni. Palpitazioni, aumento della frequenza cardiaca, sudore, ma anche tante soddisfazioni, sacrifici e anni di studio che, permettetemi, finalmente stanno dando i loro frutti, concretizzando una stabilizzazione lavorativa.
Consapevolezza di una crescita professionale... modalità ON. Nuove procedure, nuovi protocolli, nuove conoscenze. Ci sono tante nozioni da apprendere velocemente. Catapultata in una realtà complicata senza alcuna "accortezza" o guida. Serve personale per un ospedale "fantasma". Sembra uscito fuori da un film di un secolo fa. Nemmeno sulla luna ci si barda così, sembra quasi una cerimonia religiosa. Apprendi l'arte della vestizione in un corso di formazione celere, pensi di aver capito tutto ma ti rendi conto veramente di come si fa solo facendolo. Ti guardi allo specchio mentre lo fai per capire se c'è qualche zona scoperta. Ma tutto questo devo indossare? Tuta, copri scarpe, calzari, cuffietta, doppia mascherina, visiera e tripli guanti. Tiri sù la cerniera e... via. Una volta pronta, lasci l'area grigia ed inizi a percorrere quel corridoio in un silenzio assordante dove tutto è contaminato. La chiamano zona sporca. Segui quella segnaletica rossa tratteggiata nel pavimento che ti porta nel cuore del reparto e non pensi più a nulla. Apparentemente è un reparto come tutti gli altri.
Ti senti in una bolla, non senti cosa ti dice il collega e non puoi leggere il labiale. Ti si appannano gli occhiali. Pian piano cominci a familiarizzare con l'ambiente, con i pazienti, ti muovi come un robot per paura che la tuta si strappi, cambi continuamente guanti, ti nebulizzi di candeggina ogni tre per due. Telefono che suona, pazienti che chiamano, tute bianche che entrano ed escono dalle stanze come se fossimo in via Libertà. Emergenze, ma anche dimissioni. Sanificazione di posti letto in attesa di nuovi ricoveri. Molti di loro li conosci. Ultimamente troppi visi di conoscenti in attesa di un sostegno. I ricoverati non hanno la minima idea di chi tu sia, fanno affidamento sulla tua voce, ti guardano negli occhi, ti riconoscono da come ti relazioni con loro. Cominci anche a sentire il sudore scendere dietro la schiena, sulle braccia e sul viso, sei completamente bagnata ma non puoi asciugarti, né toccarti, non puoi nemmeno bere un goccio d'acqua. Perdi la cognizione del tempo. Controlli più volte al giorno i parametri vitali di ognuno di loro, sperando di non doverli segnalare al dottore di turno. Finisci proprio tutte le riserve di energie, desideri poter respirare, hai fame di aria. Non vedi l'ora che il collega ti dia il cambio. Ti fanno vedere anche come va fatto.
Non so se mi spiego. Quel sacco nero... Insomma. É giunto il momento della svestizione, altra cerimonia, la più importante. Ci siamo! Sola con lo specchio. L'unica cosa che pensi è: "arrotola verso l'esterno, non toccare la tuta all'interno, cambia i guanti" e nel frattempo la voce della mia super amica Anto rimbomba in testa ripetendomi di stare attenta e di prendermi tutto il tempo necessario. Leggo la procedura scritta sul muro e continuo a guardarmi allo specchio mentre mi svesto... ogni minima distrazione potrebbe fregarmi. Credo di essere stata attenta o almeno spero e così con le mani tremolanti finisco parte del mio turno in medicina, reparto Covid dell'ospedale di Partinico. Cammini fino in stanza dove finalmente potrai alzare le gambe, bere un semplicissimo bicchiere d'acqua e, perché no, farti un oretta di sonno prima del prossimo turno. Ricordo di essere crollata in un profondo sonno durato 10 ore. Quella notte, quel primo turno è stato assurdo. E chi se lo scorda più! Questa è la giornata di ogni infermiere, medico, operatore sanitario che lavora in un reparto Covid in questo anno bestiale.
Sono fierissima del lavoro che svolgo, nonostante i sacrifici immensi. Ho scelto di non vedere i miei familiari ed i miei amici fino al prossimo tampone per paura che possa contagiarli e c'è chi ancora oggi gironzola senza protezione o chi ha deciso di non crederci. Mi sono privata dell'unica cosa che mi faceva stare bene: il contatto con le persone che amo. È immensamente difficile soprattutto per una passionale come me. Le rinunce fanno parte di questa vita terrena, non devono essere lette sempre in accezione negativa, fatte al momento opportuno ti danno la possibilità di andare avanti nella vita. Provate a riflettere. Ad oggi mi sento paradossalmente più sicura in reparto. Oggi abbiamo dimesso un nostro compaesano. L'ho salutato con le lacrime agli occhi, ma per fortuna lui non se ne è accorto.
* componente del centro Covid di Partinico