Altofonte, parliamo di agricoltura

Prende il via la rubrica curata dall'agronomo Corrado Castello

ALTOFONTE, 14 giugno - Da oggi Altofonte News dedica spazio ed attenzione alla realtà agricola di Altofonte. Grazie alla collaborazione di Corrado Castello avremo modo mettere sotto osservazione uno dei settori che nel passato ha costituito una delle maggiori risorse economiche del paese.

Un settore, però, che adesso è anch’esso in crisi a causa delle scarse possibilità di commercializzare i prodotti derivante dall’elevata offerta proveniente da ogni parte del mondo e dalla mancanza di infrastrutture, organizzazione e professionalità utili a rendere competitiva nel mercato la produzione agricola locale. L’attuale crisi economica ed occupazionale pone l’interrogativo se è possibile ed utile ritornare ad investire ed impiegare risorse umane nell’agricoltura per creare reddito e posti di lavoro. Il nuovo spazio di Altofonte News dedicato al mondo agricolo sarà ricco di informazioni su temi di attualità, tecnica e rubriche di servizi. (La redazione)

 di Corrado Castello

L’olivo e gli altri fruttiferi del “Parco

Olivo, susino, nespolo, fico e ciliegio. Tutte coltivazioni che ben si coniugano con il territorio di Altofonte, per le sue peculiari caratteristiche climatiche, pedologiche ed orografiche. Negli anni, però, l’originaria superficie dedicata a questo tipo di coltivazioni ha subito una progressiva riduzione. Il territorio, infatti, è stato oggetto di un’intensa attività di cementificazione che ha ulteriormente accentuato il fenomeno della polverizzazione aziendale rendendo difficoltosa l’introduzione di soluzioni alternative e migliorative della gestione aziendale. Oggi, la frutticoltura che resiste è di tipo “tradizionale” e gli agricoltori locali vantano un’esperienza ormai consolidata che, tuttavia, conserva alcune difficoltà legate soprattutto ai terreni poco meccanizzabili, ai sesti di impianto non razionali, a tecniche colturali non sempre appropriate e a problematiche di tipo commerciale. Nonostante le notevoli potenzialità, la struttura produttiva è costituita prevalentemente da micro-aziende a conduzione familiare, caratterizzate da alti costi di produzione e da una bassa redditività.  Le difficoltà a coprire i costi di produzione e quindi di realizzare utili hanno costretto molti agricoltori a investire poco per l'ammodernamento soprattutto degli oliveti. Pertanto, numerose aziende oggi si trovano nella condizione di dovere gestire terreni, scarsamente meccanizzabili e soggetti all'alternanza produttiva. Sul piano commerciale, molti produttori, non potendo contare su una dimensione aziendale economicamente adeguata, non sono nelle condizioni di imporsi sul mercato, né tanto meno possono attuare efficaci strategie di marketing.

L'olivo (Olea europea sativa) è la coltura arborea più diffusa nel territorio e costituisce senza alcun dubbio, l'elemento rurale più rappresentativo del Paese. Sono pochissime, infatti, le famiglie che ad Altofonte non possiedono almeno alcune piante di olivo dalle quali ricavano l’olio per l’autoconsumo. La coltura, in molti casi, occupa anche aree marginali che presentano notevoli pendenze e sono difficili da coltivare ed è proprio in questi ambiti territoriali che l’olivo diventa anche un importante elemento del paesaggio rurale locale e svolge un ruolo insostituibile di salvaguardia ambientale. Il panorama varietale è piuttosto stabile, non soggetto a frequenti introduzioni di nuove cultivar. Le varietà maggiormente presenti nel territorio sono, in ordine di importanza, la “Cerasuola”, che comunemente viene chiamata “Marfia”, la “Biancolilla” e la “Nocellara del Belice”; altre cultivar sono presenti ma con scarsissima incidenza. 

Le tecniche colturali adottate sono quelle tradizionali e si concretizzano in una concimazione effettuata nel periodo invernale, da gennaio a marzo, ricorrendo per lo più a concimi complessi e comunque senza tenere conto delle esigenze della specie. In inverno si procede alla potatura e gli interventi spesso sono biennali. A fine febbraio in alcuni casi si effettuano le lavorazioni del terreno per interrare i concimi ed eliminare le erbe infestanti; altri interventi si succedono a fine primavera e in estate. L’irrigazione, invece, viene effettuata solo negli oliveti in coltura mista con altre specie arboree da frutto. Negli oliveti non consociati l’irrigazione non è pratica ordinaria. Gli olivicoltori della zona, specialmente coloro che possiedono piccole superfici, non ricorrono con frequenza all’uso di prodotti fitosanitari. A ben vedere, infatti, la difesa fitosanitaria è di tipo saltuario ed essenzialmente mirata a ridurre gli effetti dannosi sulla produzione di alcune avversità più importanti quali l’occhio di pavone (Spilocaea oleagina), la mosca olearia (Bactrocera oleae) e la tignola dell’olivo (Prays oleae). Nonostante altre avversità riescano, anche se sporadicamente e solo su alcune piante, a creare alcuni problemi (tra questi l’oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis), il cotonello (Euphillura olivine), la margaronia (Palpita unionalis) ecc.), con l’ausilio delle opportune tecniche colturali ed effettuando uno o due interventi con prodotti fitosanitari è possibile controllarle. Il periodo di raccolta è compreso, generalmente, tra l’ultima decade di ottobre e la prima quindicina di dicembre. Il metodo di raccolta adottato è manuale, in molti casi agevolato dall’uso di pettini sia manuali che pneumatici. La produzione è destinata, prevalentemente, alla trasformazione in olio e in piccola parte alla produzione di olive da mensa. La trasformazione del prodotto avviene presso i frantoi locali che utilizzano sistemi a ciclo continuo e alla conservazione si provvede mediante l’utilizzo di silos di acciaio o in contenitori di acciaio in parte presso i piccoli produttori e in parte presso la locale cooperativa di produttori. 

Cosa fare allora per ridurre i costi e recuperare margini di competitività, tenuto conto della situazione in cui versa il mondo della produzione e del mercato dell’olio di oliva? Certamente i nostri produttori dovranno affrontare la realtà con una logica imprenditoriale che consenta di attuare programmi di interventi innovativi rivolti a migliorare la qualità del prodotto oltre ad innalzare il livello colturale degli oliveti e a rafforzare la fase commerciale realizzando una effettiva aggregazione dell’offerta. Inoltre, l’adozione di tecniche agronomiche razionali, insieme ad adeguati piani di concimazione elaborati in funzione delle caratteristiche fisico-chimiche di ciascun terreno (a seguito dei risultati analitici riscontrati) e piani di difesa fitosanitaria studiati ad hoc, potrebbero dare un ulteriore valore aggiunto all’olio prodotto che ha già un potenziale qualitativo elevato, sia in termini chimici che organolettici. Infine, una maggiore attenzione nelle fasi di post-raccolta e lavorazione del prodotto e soprattutto un'appropriata strategia di marketing potrebbero influire positivamente nell’affermazione del prodotto anche in mercati diversi da quello strettamente locale.

Il susino (Prunus domestica) è coltivato più che altro in modo promiscuo e tradizionale, e a prevalente conduzione familiare. La produzione è esigua e riesce ad alimentare un mercato di nicchia nell’ambito locale e del palermitano. Le varietà presenti sono soprattutto varietà antiche tipo “Rapparino”, “Sanacore”, “Susino ariddu di core” ecc. La coltivazione segue le normali pratiche agronomiche e particolare attenzione viene osservata nella fase di raccolta, soprattutto per alcune varietà, per mantenere integra la patina cerosa che riveste il frutto.  L’applicazione di una corretta concimazione invernale, da effettuarsi nei primi di febbraio, ed una successiva con concime fogliare ad invaiatura dei frutti, unita ad una corretta potatura ed a un controllo razionale dei principali fitofagi, daranno alle piante la possibilità di offrire una produzione abbondante e di qualità.  La diversificazione nell’utilizzo del prodotto, inoltre, potrebbe consentire un ulteriore sviluppo della coltura (come ad esempio la produzione di marmellate e conserve, nonché di susine candite ecc.).

Quella del Nespolo del Giappone (Eriobotrya japonica) è una piccola realtà di coltivazione nel territorio, spesso, in promiscuità con gli agrumi (limone in particolare). Gli impianti specializzati sono comunque pochissimi. Ad Altofonte, come nel resto delle altre aree nespolicole siciliane (Trabia in particolare) tutta la piattaforma varietale viene suddivisa in 2 categorie: cultivar “vaniglia” e cultivar a frutto “acido o sub-acido”. Mentre la prima presenta frutti tanto dolci quanto scarsamente resistenti a manipolazioni e trasporti che ne limitano la loro diffusione, altrettanto non si può dire per le varietà a frutto acido e sub-acido. Di questa categoria fanno parte cultivar quali la “Virticchiara” (precoce), la “Rossa” (precoce), il “Nespolone di Trabia” e la “Marchetto” (queste ultime entrambe medio-tardive) e presentano frutti con buona resistenza alle manipolazioni e ai trasporti che costituiscono spesso un fattore limitante per l'espansione della coltura. 

Il nespolo del Giappone presenta un ciclo produttivo sfalsato rispetto agli altri fruttiferi coltivati nel bacino del Mediterraneo: la fioritura avviene tra novembre e dicembre ma per favorirne la differenziazione è necessario effettuare l'irrigazione post-raccolta. Su impianti presenti nel territorio, l'irrigazione viene effettuata nella maggior parte dei casi per sommersione.

Le esigenze nutrizionali rispecchiano più o meno quelle degli agrumi anche se, rispetto a questi, il nespolo richiede un apporto di azoto ridotto. La principale avversità è rappresentata dalla ticchiolatura che colpisce rami, foglie e frutti.  L'epoca di raccolta varia da aprile a giugno. Se si vuole ottenere una produzione di frutti grossi è necessario che in autunno tutti i rami secondari con fiori vengano privati delle pannocchie. Appena poco dopo l'avvenuta allegagione è necessario effettuare un diradamento dei frutticini in modo da ottenere circa 4-5 frutti grossi per pannocchia. Si è già detto che il frutto è delicato per cui la raccolta viene effettuata con l’ausilio di cesti imbottiti. La scarsa resistenza dei frutti ha fortemente condizionato l'ulteriore espansione della coltura. Sarebbe auspicabile, che la ricerca da un lato e le attività politiche dall'altro, si occupassero un po' di più di questa coltura cercando di promuoverne lo sviluppo e la diffusione. Negli ultimi anni, problemi di commercializzazione dei frutti che, come detto, sono facilmente deperibili, unitamente all’aumento dei costi di gestione, hanno provocato una forte contrazione della sua coltivazione. La realizzazione di nuovi impianti economicamente più gestibili e l’impiego di cultivar più resistenti alla manipolazione e al trasporto, unitamente ad una corretta gestione potrebbe consentire il rilancio di questa coltura.

Il fico (Ficus carica) è stato da sempre coltivato nelle campagne di Altofonte. In passato, rappresentava, a causa della sua frequente e diffusa presenza nei campi, il punto per riposarsi al fresco nelle ore più calde delle giornate dei mesi estivi o per tenere al fresco le bevande durante il duro lavoro nei campi. Coltivare i fichi per utilizzarne i frutti per il consumo fresco o per seccarli era un fatto culturale e tipico della nostra zona. Purtroppo, con l’avvento dell’“agricoltura del fine settimana”, il fico è stato marginalizzato, abbandonato o addirittura estirpato. Cosi, il numero delle piante si è enormemente ridotto rispetto al passato con la conseguente scomparsa, in termini di biodiversità, di alcune varietà importanti. Le varie cultivar presenti, possono dare una o due fruttificazioni (unifere o bifere) ed avere frutto a colorazione esterna verde, giallo-verde, viola, rosso-viola.  La forma d’allevamento più diffusa nel territorio, data la marginalizzazione della coltura, volge verso la forma libera che tende ad assumere la forma del vaso o del globo, facendo raggiungere alle piante dimensioni ragguardevoli, difficilmente governabili. Questa ragione rende la raccolta difficoltosa a causa della necessità di salire sugli alberi attraverso l’utilizzo di scale con numerosi interventi di salita e discesa a terra per lo svuotamento dei recipienti e per lo spostamento delle scale. La forma d’allevamento a vaso basso o a palmetta, comunque contenuta potrebbe consentire di agevolare le operazioni di raccolta, da terra o con piccole scale. La raccolta è sicuramente l’operazione più onerosa in quanto la scalarità della maturazione dei siconi comporta ripetuti passaggi sull’appezzamento (mediamente 2-3 passaggi a settimana per le 3-4 settimane in cui i frutti maturano). Inoltre, la raccolta, che deve esser fatta necessariamente con il picciolo, comporta un notevole dispendio di tempo e molta cautela. Inoltre, la delicatezza dei siconi maturi comporta dover appoggiare il frutto con cautela nei plateaux che non devono consentire una sovrapposizione superiore ai 5-6 strati, pena lo schiacciamento dei frutti dei piani inferiori. Ottimale sarebbe la collocazione diretta dei frutti nelle cassette da commercializzazione. Per evitare, o per limitare, gli immancabili danneggiamenti, è opportuno che i frutti siano adeguatamente separati dal bordo e dalle pareti dell’imballaggio, e tra frutto e frutto, con idonei materiali protettivi. Nel quadro dell’agricoltura Altofontina, la coltivazione del fico può essere interpretata, e deve essere intesa, come integrazione del reddito nelle aziende che producono principalmente olio extravergine d’oliva. È interessante la sua riscoperta come prodotto tipico del nostro territorio da sottoporre all’attenzione degli ospiti.

Una coltivazione remunerativa sotto l’aspetto economico presuppone una specializzazione della coltura, con forme d’allevamento idonee e contenute, tali da facilitare le operazioni colturali (potatura, raccolta, lavorazioni del terreno). Inoltre la coltivazione del Fico, visto il potenziale bacino di utenza (la città di Palermo e hinterland, ma anche prospettive più ampie), potrebbe diventare interessante. Infatti i prezzi pagati per il prodotto fresco, se di buona qualità, sono sicuramente remunerativi, date le scarse esigenze della coltura (non necessita normalmente di trattamenti antiparassitari, anche se risponde molto bene alle concimazioni, all’irrigazione ed alle lavorazioni del terreno). Potrebbe essere una coltura da introdurre anche nelle aziende che seguono i canoni dell’agricoltura biologica. E anche i fichi secchi, consumati come tali o farciti (con mandorle, noci, nocciole, pinoli), aromatizzati (con limone, cedro, chiodi di garofano, cannella) o ancora utilizzati per la preparazione dei "buccellati" (tradizionale dolce natalizio di Altofonte), mantengono prezzi abbastanza elevati.

Il ciliegio (Prunus cerasus) è una specie arborea che nel tempo, grazie alle particolari condizioni pedoclimatiche, ha trovato spazio nelle campagne di Altofonte, in particolare, nell’area di confine con il territorio di Piana degli Albanesi. Con una discreta produzione annuale, il ciliegio costituisce, per la comunità di Altofonte, un prodotto di pregio, grazie anche alle sue peculiari caratteristiche. Nel tempo le cultivar a polpa molle sono state sostituite con varietà a polpa dura e piuttosto croccante, meglio apprezzata dai consumatori e più resistenti alle manipolazioni ed al trasporto. Il prodotto viene consumato localmente e in gran parte avviato ai mercati del palermitano. Il ciliegio, rappresenta una coltura che grazie alla rusticità e alla versatilità, può essere facilmente coltivato secondo il disciplinare di agricoltura biologica avvalendosi di misure agronomiche preventive che assecondino la vocazionalità del territorio, ridimensionando gli aspetti mercantilistici che caratterizzano l’attuale sistema produttivo e valorizzando quelli che regolano gli equilibri degli ecosistemi agricoli, come la conservazione della produttività in armonia con i ritmi propri della natura e con la vocazionalità degli ambienti.