È ancora domenica

(foto motorsport)

Dopo 14 anni la Formula Uno torna a Imola: teatro di scontri e passioni, di leggenda e tragedia

Se davvero esiste una cosa positiva di questo 2020, la troviamo nel calendario della stagione di Formula Uno che stiamo vivendo.

All’impossibilità di soggiornare per il paddock in circuiti tanto criticati e privi di storia, è subito venuta incontro a Liberty Media la possibilità di dare la possibilità a delle vere e proprie pietre miliari dell’automobilismo, come il Nurburgring o Imola, o di nazioni con un’importante tradizione, come Turchia o Portogallo, di tornare nel calendario della serie più ambita. Un lavoro difficile, eccezionalmente straordinario, sia per la portata di quest’ultimo sia per la tutto tranne che ordinaria situazione mondiale. Ma sì, se proprio vogliamo dirlo, una cosa positiva questo maledetto anno ce l’ha portata.
Imola, terra di sorpassi, con un circuito che si è consegnato alla leggenda grazie a battaglie infuocate, come quella tra Alonso e Schumacher nel 2005, o quella tra i due ferraristi Pironi e Villeneuve nel 1982, qualche giorno prima di un giorno funesto, che si sarebbe portato via il grande Gilles. Che si è fatto apprezzare per il suo layout, da duri, da sangue freddo, che a tutti i protagonisti di questa nuova generazione di questa F1 ha fatto dire solo “Wow!”.

Che ha aperto le porte all’immortalità ad un certo Ayrton Senna, che si è consegnato al cielo proprio qui, alla curva del Tamburello, mentre correva per vincere e per vivere, in eterno. Quasi a servirci come promemoria, sempre a ricordarci che la vita dà, la vita toglie. Sia che tu sia uno dei tanti, sia che tu sia l’idolo di questi.
Come Ayrton, che faceva il pilota, ed è l’idolo di molti di quei bambini che l’hanno visto vincere, dominare, inventare pennellate degne di un Caravaggio su pista.
Bimbi che ora fanno il lavoro che faceva lui, e che oggi hanno calcato per la prima volta il tempio dove il diamante del brasiliano si era incastonato per sempre nei cuori di tutti, come testimonia lo stesso trofeo del GP.

Bimbi come Pierre Gasly, autore di un weekend sensazionale, finito in maniera differente ma comunque soddisfacente, che ha corso con l’esatta replica del casco del campione carioca, e magari anche con un pizzico del suo talento, che male non fa.
Bimbi come Lewis Hamilton, che ormai bimbo non lo è più, semmai idolo di quegli stessi bimbi di cui lui faceva parte. I numeri parlano chiaro, le vittorie arrivano quasi ogni domenica, ma il suo cuore solo un pilota è riuscito a scaldarlo, e non è difficile indovinare chi sia.
Bimbi come tutti quei tifosi, appassionati, testimoni di una F1 che non c’è più, schiava di un progresso e di un rigore che non la conducono solo ad aspetti positivi. Di una F1 dove ogni domenica correvi accettando il rischio, solo per pagare dazio alla passione che ti ha reso dipendente del successo o della sola voglia di correre.
Quella stessa F1, che aveva stregato quegli stessi bimbi, che adesso, anche solo rivedendo una gara ad Imola, o al Nurburgring, o anche ad Istanbul, possono ritornare con la mente a quelle domeniche pomeriggio passate davanti alla tv, guardando e sognando le macchine più veloci del mondo.