Il derby è sempre il derby? Questo però non è calcio

Il portiere Marco Matranga (foto Ufficio Stampa Palermo Football Club)

(foto Palermo Calcio)

Quando oltre ai protocolli di sicurezza viene meno la dignità di uno sport: Siamo tutti dei Matranga in panchina

 MONREALE, 10 novembre – “Non è tempo per noi” verrebbe da dire, volendo citare il cantautore Luciano Ligabue. Noi chi? Beh, noi tifosi di calcio, accomunati dalla vocazione per questo sport, innamorati dei colori rosanero e al contempo osservanti delle disposizioni che il governo centrale ha attuato, volte a contenere la pandemia tutt’ora in corso, flagello percussore finanche di questa disciplina. 

Ieri sera, dopo lunghissimi 7 anni, al "teatro" Renzo Barbera andava nuovamente in scena il vero derby di Sicilia, quello tra Palermo e Catania. Nulla a che vedere, però, con l’atmosfera magica vissuta nella precedente occasione, nonostante le mie mani tremassero per la forte emozione, la scorsa sera, a pochi secondi dal fischio d’inizio. Esattamente. Tremavano come il secondo anello dell’impianto di viale del Fante dopo che Miccoli, in quell’appuntamento, siglava la 100esima rete in serie A calciando dalla lunetta, dopo appena 10’ di gioco. Lo stadio era una bolgia ed esplose in un grido di gioia, sviluppandosi inevitabilmente in un groviglio di abbracci subito dopo il suono del gol, con annessa corsa sotto il settore ospiti del capitano – giocatore indiscusso in campo – e consueta esultanza alla John Cena con la mano: “You can’t see me”. Gli abbracci, già. Ve li ricordate? Faceva parte del calcio, quello vero.

Lo spettacolo di ieri, purtroppo, si discosta da ciò che è realmente lo spirito di una manifestazione sportiva, restituendo pertanto indignazione ad un pubblico dotato di raziocinio. Il cattivo gusto, infatti, si percepisce già qualche ora prima delle 21, nei pressi dell’impianto de La Favorita, dove più che spontaneamente, alcuni gruppi di tifoserie organizzate, insistevano assembrati con bandiere e fumogeni per incitare i calciatori prima del match. Un corteo sicuramente previsto dalla Questura e che forse, dico forse, è sfuggito di mano: perché non circoscrivere un ampio raggio attorno alla struttara per prevenire questa “manifestazione d’affetto”? Sì, avete letto bene. Questo è quello che hanno affermato alcuni operatori/giornalisti appartenenti a testate più e meno rilevanti del capoluogo, legittimando un atteggiamento del tutto negazionista da parte di questi gruppi, nei confronti della situazione pandemica ad opera del Coronavirus, morbo che ha portato via con sé – tra migliaia di vittime – diversi colleghi, filmando per giunta i supporters intenti a ribadire frattanto quel clima d’odio – goliardico per carità, ma al momento fuori luogo – al territorio etneo. La memoria, però, fa spesso brutti scherzi.

A squalificare, tuttavia, l’etica professionistica del giuoco calcio, i regolamenti in materia di Covid per garantire lo svolgimento delle gare ufficiali, come quello ufficializzato dalla Lega Pro: detta in soldoni, se una società ha a disposizione 13 tesserati, tra i quali almeno un portiere, che siano risultati negativi all’esito del ciclo dei tamponi, può regolarmente scendere in campo. Ebbene, quanto accaduto ieri sera all’ombra di monte Pellegrino è del tutto surreale. Il Palermo, che ha già dovuto rinunciare recentemente a calcare i prati della categoria a causa dell’esubero di tesserati che hanno contratto il virus – frutto di una evidente falla societaria nella gestione dei protocolli di sicurezza – ha dovuto rispondere presente all’appello in occasione del derby, nonostante avesse a disposizione soltanto 14 giocatori “sani”, di cui 2 squalificati – Crivello e Broh – escludendo così al tecnico Boscaglia l’imbarazzo della scelta dell’11 titolare. In panchina? Il giovine Marco Matranga, portiere, unica riserva rosanero.

Cuore, muscoli e orgoglio, hanno permesso alle aquile del capoluogo di limitare il danno, disputando 94’di gioco con grande coraggio, portando a casa un punto prezioso – frutto di un’ottima prestazione – tra crampi, lievi infortuni e  quant’altro, preservando la dignità dell’estremo difensore classe 2002, in quella triste solitudine da bordo campo, pronto, comunque, a combattere con i propri compagni, qualora fosse risultato necessario, dinnanzi a questo acuto scempio dettato da forze maggiori, che fino a ieri non aveva avuto precedenti e che da adesso condizionerà inevitabilmente l’attendibilità di un campionato. Ecco, anch’io mi sento come Marco in questo momento, impotente di fronte a tale emergenza sanitaria, ma pronto a combattere laddove mi sarà concesso e ad osservare ogni disposizione possibile al fine di limitare ogni contagio. Non è tempo per noi, perché non è tempo di Calcio.